Editoriale 24
La comunicazione sui media
22 - 28 febbraio
2 marzo 2021
Il brand activism di Facebook in Myanmar. I finti partiti di Putin per mantenere alto il consenso. La nuova arma per i diffusori di fake news e il “pensa prima di postare” di Twitter. I tabloid conservatori britannici verso una svolta ambientalista. Una riflessione sulla fiducia digitale.
La Redazione
· Facebook ha annunciato di aver escluso i militari del Myanmar dalla sua piattaforma in seguito al colpo di stato che ha rovesciato il governo democratico del paese. Secondo quando riporta il New York Times, con questa mossa il social network si schiera esattamente dalla parte del movimento pro-democrazia del Myanmar dopo anni di critiche su come l’esercito abbia usato il sito per incitare all'odio contro la minoranza musulmana Rohingya del paese. Per anni, i membri dell'esercito sono stati i principali operatori dietro una campagna sistematica su Facebook che sminuiva i Rohingya come stranieri che vivevano illegalmente in Myanmar e che ha portato alla morte di migliaia di loro e costretto più di 700.000 a fuggire dal paese. Sembra che ora però Facebook abbia deciso di schierarsi, bloccando anche la pubblicità delle imprese di proprietà dei militari, per limitarne la forza economica. Mark Zuckerberg ha a lungo sostenuto la libertà di parola sopra ogni altra cosa, posizionando il suo social network come una semplice piattaforma e un servizio tecnologico che non verrebbe coinvolto in dispute governative o sociali. Ma i recenti avvenimenti, soprattutto la chiusura degli account social di Donald Trump dopo l’assalto a Capitol Hill (vedi Editoriale 17), hanno segnato un punto di svolta: ora ai social network si chiede di intervenire bannando anche altri leader e governi (vedi Editoriale 19) che diffondono fake news e incitano alla violenza. Segno, da un lato, che una regolamentazione è sempre più urgente e sempre più richiesta (vedi Editoriale 21). Segno, dall’altro, che il brand activism assume sempre più importanza, tale da poter influenzare le sorti di una guerra.
· Il New York Times racconta che il panorama politico russo ha visto nascere nuove formazioni politiche che cercano di ottenere seguito in una situazione di grande incertezza mirando a conquistare il consenso tra i giovani elettori e gli scontenti. La scena politica attualmente si tinge infatti di nuove sfumature, nuovi partiti che riempiono il dibattito pubblico russo a volte anche in maniera artificiosa. Alcuni dei “nuovi” partiti sono nati infatti con il sostegno del Cremlino al fine di contrastare l’ingresso al Parlamento delle opposizioni. Putin ha sempre avuto modo di controllare e manipolare i media nazionali e limitare, dunque, i “contenuti indesiderati” sul web. Anche per questo motivo, il mestiere del giornalista in Russia è un impegno difficile e pericoloso poiché costantemente osteggiato dal governo ma negli anni, grazie al lavoro svolto da Navalny e alle indagini successive al suo avvelenamento (vedi Editoriale 15), c’è chi è riuscito a reperire e diffondere informazioni attraverso strumenti e applicazioni poco convenzionali e “illegali”. Da qui, si è acceso un ampio di battito sull’aspetto legale e morale di questi strumenti ma, dalle parole del fondatore della piattaforma indipendente IStories riportate su Formiche, “vivendo in un paese in cui l’autorità cancella l’opposizione, è bene dimenticarsi di questi dibattiti perché bisogna operare per il bene di un’informazione libera”.
· I meme sono diventati l’arma più incisiva di chi diffonde fake news e alimenta teorie del complotto, a dimostrazione che spesso simple is better. Sono semplici da creare, richiamano al contesto culturale degli utenti tramite l’ironia e, soprattutto, sono difficili da identificare per le macchine di intelligenza artificiale. Come riportato da Axios e linkiesta, i meme vengono creati ad arte in modo da eludere il riconoscimento da parte dei sistemi di intelligenza artificiale delle piattaforme. Un esempio della viralità e della pericolosità è il meme – tutt’ora virale su Twitter – che rappresenta l’immagine del circuito elettrico del pedale di una chitarra, spacciandolo per il microchip contenuto all’interno del vaccino con l’intento di controllare le persone. Secondo uno studio pubblicato su Nature, l’esposizione alla disinformazione sui vaccini ha causato una diminuzione del numero di persone intenzionate a vaccinarsi: 6,2% in Inghilterra (da giugno a settembre) e 6,4% negli Stati Uniti. La difficoltà nell’individuare i contenuti riporta alla luce l’importanza della moderazione effettuata dalle persone in grado di interpretare, valutare e capire la pericolosità di un meme. Per questo Facebook e Twitter, che già utilizzano l’intelligenza artificiale per combattere l’odio in rete (vedi Editoriale 12), hanno lanciato due iniziative: il primo “hateful memes challenge” – una gara globale di cacciatori di meme – e il secondo Birdwatch – i contenuti vengono segnalati dagli utenti stessi. Potremmo citare numerosi esempi di meme divenuti virali ma in particolare è rilevante riportare il trend del #lasereyes. Attraverso questo hashtag infatti sono stati condivisi numerosi meme che rappresentavano immagini di uno sguardo laser. L’obiettivo del trend, nello specifico, era quello di spingere il valore di Bitcoin in alto e certamente non poteva mancare la partecipazione di Elon Musk, già protagonista di numerosi dibattiti ed eventi riguardanti i Bitcoin (vedi Editoriale 20) per i quali ancora mantiene un grande interesse e che, essendo soggetti a grande volatilità, subiscono forti pressioni dal web e, perché no, anche dai meme.
· La nuova funzione introdotta da Twitter (“Pensa, prima di postare”) sarà in grado di analizzare il contenuto di un tweet, confrontarlo con il database dei post segnalati dagli utenti come dannosi, e quindi mostrare all’autore un banner con tre opzioni: cancellare il tweet; modificarlo e postarlo; pubblicarlo senza aggiornamenti. Non è il primo tentativo dell’azienda in questa direzione: altri test analoghi sarebbero stati svolti, scrive Tech Crunch, a maggio e agosto 2020. L’impatto di questi banner è stato studiato da Twitter, che spiega come, in presenza di avvisi che invitavano gli utenti a leggere un articolo prima di fare retweet, il 40% degli utenti aprisse effettivamente più spesso gli articoli rispetto a prima dell’introduzione dei banner. Questi esperimenti confermano la rotta tracciata da Twitter dal ban di Trump (vedi Editoriale 17 e 19), una presa di posizione netta contro la disinformazione che ha portato la creatura di Dorsey dal rischio vendita nel 2016 all’obiettivo di raddoppiare il fatturato nei prossimi tre anni. Insomma, puntare sulla qualità dell’informazione paga. E con il nuovo modello subscription dei Super Follow Twitter potrebbe introdurre, anche per la stampa, la possibilità di guadagnare sui social. Che rappresentino o meno l’alba del “nuovo giornalismo che aspettiamo da anni” di cui scrive Repubblica, i Super Follow potrebbero tradursi in una boccata d’aria per un settore ancora ancorato al cartaceo – a patto, certo, che l’opportunità venga colta.
· Dopo anni passati a negare il cambiamento climatico, nelle ultime settimane in molti hanno notato una apparente svolta ambientalista dei tabloid britannici che ora insistono sulla transizione energetica. Il Post riporta che tra gli attivisti ambientalisti e i giornalisti che si occupano di cambiamento climatico, la nuova sensibilità dei tabloid su questi temi è stata accolta con stupore e scetticismo, e molti si sono chiesti da dove arrivi e quale finalità abbia. Probabilmente la ragione principale per cui questi giornali hanno cambiato linea sull’ambiente è opportunista: gli ultimi sondaggi dell’istituto di ricerche di mercato YouGov dicono che i britannici ora sono più preoccupati dell’ambiente che della criminalità o dell’immigrazione. Uno studio in particolare dice che il 56 per cento di chi aveva votato in favore di Brexit vuole che il Regno Unito guidi il resto del mondo nell’affrontare il cambiamento climatico. La nuova linea editoriale di alcuni tabloid abbraccia anche l’idea che l’attenzione alle emissioni e alla sostenibilità possa dare un impulso all’economia, ad esempio con lo sviluppo di aziende che producono energia da fonti rinnovabili, e che possono essere una nuova fonte di posti di lavoro. È ancora presto per dire se le campagne “ambientaliste” dei tabloid britannici saranno efficaci nel trasmettere ai loro lettori la gravità del riscaldamento globale; se dovessero funzionare, in ogni caso, potrebbe aiutare a una maggiore sintonia sulle questioni ambientali tra partiti conservatori e progressisti e a lungo termine potrebbe favorire l’adozione di leggi di salvaguardia ambientale e che disincentivino l’emissione di gas serra. Un punto di vista nazionalista, tuttavia, non può che essere limitato per pensare al cambiamento climatico. La comprensione del problema, e le riflessioni sulle possibili soluzioni, devono necessariamente tenere conto della situazione a livello mondiale.
· La pandemia ha imposto una rapida digitalizzazione in tutto il mondo portando ad una radicale trasformazione delle dinamiche scolastiche, sociali e lavorative. Questa crescita esponenziale del digitale ha dimostrato l’enorme capacità della tecnologia di aggiungere valore positivo alla nostra società garantendo una costante connessione e vicinanza negataci dal virus. Allo stesso tempo però questa situazione ha anche rivelato la potenziale fragilità di questi strumenti e la nostra dipendenza da questi sui quali non tutti riponiamo lo stesso livello di fiducia. Cosa bisogna fare, dunque, per costruire e consolidare la fiducia digitale? Come indicato dall’Harvard Business Review, la fiducia non è un “monolite” immutabile ma cambia, si trasforma e, necessariamente, deve essere coltivata. Nel corso dell’anno è stata data molta attenzione al ruolo dei garanti della fiducia – governi, istituzioni e società che regolano i diversi ecosistemi digitali – ma bisogna ricordarsi anche dell’importante ruolo che tutti gli utenti svolgono nel promuovere la fiducia nell’ecosistema digitale collettivo. Quando si tratta del mondo digitale, non sono solo le aziende a creare il settore, e non sono solo i regolatori a determinarne la sicurezza. Il periodo storico che stiamo vivendo impone dunque un’evoluzione nelle dinamiche e discussioni sul digitale perché, adesso, è bene investire su formazione ed educazione per generare consapevolezza e fiducia in strumenti ormai sempre più indispensabile.