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Editoriale 21

La settimana sui media
01 - 07 febbraio

9 febbraio 2021

L’allievo di Caffè in rete. Diffamazione vs disinformazione. Oscuramento vs allineamento. Libertà di parola per Parler? Censurare il Partito Comunista Cinese. Tutti al Superbowl! Una lavatrice nello spazio. Facebook contro Apple sulle fake news. Social e giornali, novità dall’Australia.

La Redazione

· Come altri leader politici, anche il Presidente del Consiglio incaricato Mario Draghi – riporta Repubblica – ha scatenato in rete un’ondata di meme, rievocazioni mitologiche e cinematografiche, spunti per campagne di instant marketing e imitazioni. Una delle caratteristiche più significative della politica recente è la facilità con cui mondo reale e mondo digitale si intrecciano fino a generare una narrativa che si autoalimenta continuamente.  Basta guardare al linguaggio politico degli ultimi tempi per capire come questa forma di partecipazione digitale dal basso faccia ormai parte della politica: l’immaginario, con le sue figure semplificate e rievocative che si mischiano con i linguaggi contemporanei, è un potente strumento per arrivare alla costruzione del senso e sempre più leader se ne avvalgono.  Draghi non sembra curarsi di questo genere di cose: in fin dei conti, è stato allievo di Federico Caffè, l’economista che scelse l’autodissolvimento come difesa dal rumore del mondo.


· Secondo quanto riporta il New York Times, Dominion Voting Systems e Smartmatic, le società che producono software per la gestione dei sistemi elettorali accusate di aver truccato le presidenziali del 3 novembre, hanno presentato denunce rispettivamente da 1,3 miliardi e 2,7 miliardi contro gli avvocati di Trump, le reti Fox News e Fox Business. Davanti al pericolo legale, le reti hanno cambiato rotta: la Fox Business ha cancellato lo show di Lou Dobbs, il suo conduttore di maggior successo, ma anche il più radicale sostenitore di tesi cospirative, e in molte redazioni televisive sono stati divulgati comunicati nei quali si riconosceva che le accuse di elezioni truccate riproposte per settimane con insistenza erano basate sul nulla.Oggi la torrenziale diffusione di disinformazione attraverso molteplici canali (vedi Editoriale 18 e 19) ha trasformato la denuncia per diffamazione, che fino a qualche anno fa era considerata una pratica odiosa e liberticida, nell’unico strumento efficace per bloccare la diffusione di tesi cospirative prive di fondamento e sempre più in aumento. Gli esperti concordano che l'amministrazione Biden ha bisogno di capire la portata del problema e prendere provvedimenti quanto prima (vedi Editoriale 20). In questo momento la risposta del governo federale alla disinformazione e all'estremismo interno è disordinata e diffusa tra più agenzie; una task force centralizzata potrebbe coordinare una singola risposta strategica. Diversi esperti hanno inoltre raccomandato che Biden spinga per una maggiore trasparenza nel funzionamento degli algoritmi che le grandi piattaforme utilizzano per classificare i feed, raccomandare i contenuti e guidare gli utenti in gruppi privati, molti dei quali sono stati responsabili di amplificare le teorie della cospirazione e le opinioni estremiste. La maggior parte degli esperti concorda sul fatto che l’iniziativa più efficace che la nuova amministrazione potrebbe realizzare per risolvere la crisi e forse anche de-radicalizzare alcuni di coloro che sono stati attirati in gruppi estremisti e movimenti di teoria della cospirazione, sarebbe affrontare i problemi di fondo che li hanno portati lì in primo luogo.


· L’oscuramento di Trump da parte di Twitter ha assunto un forte significato politico perché è arrivato subito dopo l’assalto a Capitol Hill. Come spiega Il Post, diversi leader si sono schierati a sfavore di questa decisione, esprimendo il timore che questa rappresenti un pericolo per la libertà di espressione. Dopo un’analisi degli effetti all’interno della piattaforma (vedi Editoriale 19), Farhad Manjoo, editorialista del New York Times, ritiene che si dovrebbe trovare un sistema per impedire ai capi di governo di utilizzare i social a scopo propagandistico. Non è un tema nuovo: anche Conor Friedersdorf, giornalista dell’Atlantic, nel 2018 ha commentato il tweet in cui Trump minacciava il dittatore nordcoreano Kim Jong-un di avere «un pulsante nucleare più grande del suo», definendolo il «tweet più irresponsabile della storia». La questione riguarda anche altri leader protagonisti dell’utilizzo dei social in questo modo: il presidente brasiliano Bolsonaro, il suo pari venezuelano Maduro e la Guida Suprema iraniana Ali Khamenei. Tuttavia, essi non hanno ricevuto lo stesso trattamento (vedi Editoriale 19). Un leader dispone di apparati di comunicazione, uffici stampa e della costante attenzione dei media tradizionali per comunicare – non è necessario che esprima pensieri potenzialmente influenti per miliardi di persone senza intermediazione, revisione e frutto dell’avventatezza. Un esempio di discontinuità è Joe Biden, che comunica decisioni e programmi tramite una conferenza stampa quotidiana tenuta dalla sua portavoce Jen Psaki. Pratica ignorata da Trump: Stephanie Grisham, ex portavoce della Casa Bianca tra 2019 e 2020, non ha mai tenuto una conferenza stampa in otto mesi.


· Dopo che la sua piattaforma di social media è stata di fatto cancellata dal web, il CEO e co-fondatore di Parler, John Matze, è stato licenziato. In una nota destinata ai suoi ex colleghi, Matze ha dichiarato che la decisione è stata presa dal consiglio di amministrazione del social network, presieduto da Rebekah Mercer, sostenitrice finanziaria della piattaforma, senza che lui venisse coinvolto. Secondo quanto riporta il New York Times l’ex amministratore delegato ha dichiarato che negli ultimi mesi avrebbe riscontrato una "resistenza costante" alla sua visione originale della piattaforma, soprattutto dopo la decisione di Amazon e altri provider di “spegnere” Parler per l’incapacità di moderare contenuti relativi alla rivolta del 6 gennaio a Capitol Hill (vedi Editoriale 20). Non si conosce il motivo reale del licenziamento di Matze, è però evidente che ormai verso le piattaforme catalizzatrici di estrema destra si stanno prendendo decisioni sempre più drastiche anche a livello legale. Forse Parler si sta preparando ad una svolta moderata che gli permetterebbe di intercettare coloro che, stufi dello strapotere di Twitter e Facebook, hanno deciso di abbandonare questi due giganti del web.


· La linea che separa la libertà di parola dalla corretta informazione è molto sottile e spesso viene oltrepassata o in alcuni casi spostata a proprio piacimento (vedi Editoriale 8). Se infatti è stato ampiamente raccontato l’utilizzo della censura e della propaganda cinese ai danni di una libera informazione (vedi Editoriale 14 e 17) adesso a subirne i danni è proprio il Dragone, o meglio, l’emittente televisiva statale cinese China Global Television Network a cui è stata revocata dalla Gran Bretagna la licenza di trasmissione. Secondo quanto riportato dalla BBC, infatti, l’Ofcom, ovvero l'autorità competente e regolatrice indipendente per le società di comunicazione nel Regno Unito, ha giustificato questa “censura” con l’assenza di responsabilità editoriale dei contenuti trasmessi, che sarebbe, invece, del Partito Comunista Cinese. Complice le criticità e ambiguità in merito al Covid e agli eventi di Hong Kong, l’autorità britannica ha affermato che l’emittente cinese non è riuscita a soddisfare i requisiti utili per il rinnovo della licenza ma adesso la Cina ha espresso una ferma opposizione a questa decisione accusando l’authority di “pregiudizio ideologico e atto diffamatorio nei confronti della Cina”. La scelta dell’Ofcom potrebbe essere interpretata dai paesi europei come il “precedente storico” che dà il via ad una lunga serie attività volte ad ostacolare la propaganda cinese.


· Il Super Bowl attira sempre più aziende che vogliono sfruttare l’incredibile audience (circa 100 milioni di spettatori) che raggiunge solitamente l’evento. Quest’anno, le società che hanno deciso di investire tempo e soldi (l’emittente radio-televisiva CBS ha chiesto circa 5,5 milioni di dollari per 30 secondi di pubblicità) nella progettazione di questi spot si sono poste un quesito circa il tone of voice da usare: essere cupi, visto il periodo, o azzardare un tono più divertente e leggero?  Non tutte le company però si sono poste questo interrogativo, dal momento che alcune hanno deciso di saltare direttamente la serata. Se quest’anno Coca-Cola e Hyundai hanno infatti deciso di ‘rimanere a casa’, Uber ha optato per promuovere l’attività nel corso dell’evento. Anheuser-Busch, presenza storica al Super Bowl, ha invece deciso di donare parte del suo budget pubblicitario a un gruppo no-profit per combattere lo scetticismo che aleggia in merito al vaccino contro il coronavirus. Proprio a causa dello scetticismo – in questo caso da parte delle aziende stesse – CBS ha reso noto che quest’anno le vendite sono state più lente: non a caso, appena una settimana prima della sfida vi erano ancora diversi slot pubblicitari liberi. La scelta di alcune aziende di non partecipare all’evento è stata dettata anche dalle condizioni sociali in cui il mondo si trova, dove il passaparola è decisamente diminuito considerato il dimezzamento della vita sociale. Da qualche tempo, però, il passaparola è stato rimpiazzato dalla viralità, e la storia insegna come quasi tutte le pubblicità trasmesse nel corso del Super Bowl riescano a camminare con le proprie gambe per diverso tempo. È ancora necessario, quindi, il passaparola?


· Può una lavatrice diventare virtuale? Sì, se la comunicazione di questa rompe gli schemi. Ed è quello che sta succedendo sui profili social di Unieuro, catena di elettronica di consumo ed elettrodomestici, che, grazie ad una campagna creativa e iconica, ha travolto la rete: oltre 61mila reazioni, 13mila commenti e circa 11,5mila condivisioni solo per il post di lancio della lavatrice, diventata poi trend topic su Facebook e Twitter. Da dove è nata l'idea di una campagna così disruptive? Lo spiega bene Alessandro Orlandi, Direzione Creativa Esecutiva BCube in un'intervista a NinjaMarketing: “Questa campagna è nata dal desiderio di uscire dalla routine, dall’ordinario. Dalla voglia di fare quello che devi fare, ma in un modo diverso. Abbiamo cercato questa risposta nel pubblico, volevamo dare una scossa al piattume di Facebook. La forza di questa idea creativa è che in genere i brand non parlano il linguaggio delle persone.” Il punto di forza di questa campagna è stato proprio il linguaggio utilizzato: un tono of voice amichevole, confidenziale, familiare, moderno e vicino alla community di riferimento. Perché non c'è strategia più efficace che parlare la stessa lingua del proprio interlocutore.

· Si è parlato spesso di campagne di disinformazione diffuse attraverso le piattaforme social ma questa volta è stata esattamente una di queste a utilizzare informazioni non veritiere a proprio vantaggio. L’Harvard Business Review racconta infatti che, a seguito della dichiarazione del CEO di Apple in merito al nuovo sistema operativo che permetterà ai consumatori di scegliere se acconsentire o meno al tracciamento per la pubblicità personalizzata, Facebook ha prontamente risposto condannando questa decisione. Secondo la piattaforma social di Mark Zuckergerg, infatti, questa decisione di Apple rischierebbe di danneggiare le piccole imprese locali che non potrebbero usufruire degli annunci personalizzati perdendo, di conseguenza, parte del loro guadagno. Nel perorare la propria causa Facebook ha però riportato un numero eccessivamente elevato in merito alla proporzione tra gli investimenti pubblicitari e il ritorno economico delle imprese. Da ricerche condotte è emerso però che Facebook, nell’esporsi sull’argomento, abbia scelto dei dati non perfettamente veritieri ma utili a supportare la propria causa. Nonostante i recenti dibattiti sulla diffusione delle fake news, adesso anche Facebook è caduta in tentazione ma essendo una piattaforma che dovrebbe limitare e contrastare le campagne di disinformazione non sarebbe giusto dare il buon esempio?


· Una nuova legge in approvazione in Australia costringerà Google e Facebook a pagare le redazioni nazionali per far circolare i contenuti da loro prodotti sulle proprie piattaforme. E i colossi del Web sono pronti a “misure drastiche” - è quanto riportato dalla testata australiana The Conversation. Il governo non intende arretrare davanti a questa presa di posizione, che, comunque, lascia più di un interrogativo sul valore dell’Informazione per i due tech giant. Seppure Facebook sostenga che i contenuti giornalistici abbiano poco peso nel proprio giro d’affari (il newsfeed di un utente australiano medio sarebbe composto per meno del 5% da link a siti d’informazione nazionali), il Rapporto sull’informazione digitale dell’Università di Canberra rileva che il 52% degli australiani si informa attraverso i social – numero in crescita. Posizione analogamente contraddittoria per Google, che, nonostante dichiari di guadagnare poco dalle notizie, investe in prodotti di informazione come News Showcase. Per The Conversation, la legge al vaglio del parlamento è troppo sistematica perché le due aziende siano disposte ad accettarla: preferirebbero scegliere via via accordi con un “reale valore commerciale”, invece di essere vincolate a una serie di regole imposte. Tra chi ha riferito al senato in difesa dei due colossi figura il co-inventore del World Wide Web, Tim Berners-Lee, convinto che la legge smantellerà la Rete “libera e aperta”. Viene da chiedersi quanto questa sia una battaglia per la libertà di Internet, e quanto, invece, Google e Facebook si stiano battendo perché un’istituzione pubblica non interferisca con il loro fatturato. 

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