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Editoriale 9

La settimana sui media
09 - 15 novembre

17 novembre 2020

L’infodemia del vaccino. Trump e la Fox, da migliori amici a peggiori nemici e il nuovo Twitter dei repubblicani. E ancora, uno studio sulla reazione dell’opinione pubblica italiana alle restrizioni del governo. Il nuovo volto dei lobbisti e l’inefficace comunicazione della Commissione europea. Arriva il fact-checking anche per la Bestia di Salvini e la censura dell’OMS.

La Redazione

· Il fenomeno rimane lo stesso, ma questa volta cambia obiettivo. Dopo la prima e la seconda ondata di infodemia (vedi Editoriale 4), il tema principale sembra essersi spostato dal Covid al vaccino per il Covid. La disinformazione corre più veloce del virus, il contenuto è spesso molto coinvolgente, con messaggi semplici che si nutrono delle paure e dei dubbi più profondi delle persone. Il risultato? Polarizzazione, confusione e sfiducia verso istituzioni e scienza. “Is social media ready for a Covid-19 vaccine?” si chiede giustamente Recode. La disinformazione non scomparirà, nonostante gli innumerevoli sforzi. Secondo The Guardian i social media sono sempre più responsabili del rischio per la salute pubblica e dell'adozione di misure per arrestare la diffusione della disinformazione. Senza un piano di comunicazione integrato, i progressi scientifici compiuti nello sviluppo del vaccino saranno stati inutili. Se il pubblico accetterà un vaccino dipenderà da chi sarà più in grado di trasmettere il giusto messaggio. E ancora una volta sono i social media che potrebbero fare la differenza. Forse per ora hanno ragione Weatherall - O'Connor che nel loro L'era della disinformazione consigliano di smettere di pensare che il “mercato delle idee” possa distinguere efficacemente i fatti dalle finizioni.


· Alleato, tra i media mainstream, più affidabile dell'amministrazione di Donald Trump, Fox ha un'influenza come nessun altro canale di notizie. Circa il 60% dei repubblicani lo guarda settimanalmente, il doppio della quota di qualsiasi altro canale e dal 2015 le valutazioni della rete sono aumentate di un terzo. Una relazione vantaggiosa per entrambe le parti. Ma ora, con i titoli di coda pronti per lo show di Trump, la rete deve capire come affrontare l'uscita - e l'ira - della sua star. I recenti episodi sembrano chiarire l’attuale posizione del patron Murdoch: il conduttore pomeridiano Neil Cavuto ha interrotto un collegamento diretto con la sala stampa della Casa Bianca mentre la portavoce di Trump, Kayleigh McEnany, stava accusando i democratici di aver rubato le elezioni. Proprio quel tipo di comportamento che la stessa Fox aveva rimproverato a Twitter e Facebook a ridosso e subito dopo le elezioni (vedi Editoriale 8). The Economist sottolinea che, anche se Trump diventasse la star di un'altra rete, il danno sarebbe per la pubblicità, che rappresenta solo il 30% circa delle entrate di Fox News. Sembra dunque che Murdoch abbia (ri)fatto i conti, convinto forse che il business dell'oltraggio funziona meglio quando non sei al potere: il New York Times, leader della resistenza sulla stampa, ha visto gli abbonamenti salire alle stelle dal 2015.


· Come sta reagendo Trump, e in generale i conservatori americani, alle più volte criticate censure da parte dei social media e da ultimo di Fox News? Secondo Axios, sembra che l’ormai ex presidente degli Usa stia studiando il lancio di una tv digitale vicina ai conservatori per affondare l’emittente di Murdoch. L’ipotesi che Trump possa lanciare un canale via cavo sarebbe da scartare in quanto operazione costosa e che richiederebbe molto tempo. Più probabile invece l’ipotesi di una trasmissione in streaming, più economica e veloce da avviare. Dall’altro lato, “Conservatives Switch Their Apps” recita il New York Times. Sentendosi traditi anche da Fox, conservatori e sostenitori di Trump hanno dato vita a una vera e propria migrazione virtuale di massa. Da Twitter all’alternativa di destra a Twitter, Parler, che si auto-proclama “il leader dei social network per la libertà di espressione”. Personaggi di alto profilo nel movimento mediatico americano di destra, quali Maria Bartiromo di Fox e il popolare conduttore radiofonico Mark Levin, sono tra i promotori di questa migrazione.


· Rimaniamo sintonizzati su Fox News. La Voce riporta uno studio secondo il quale negli Stati Uniti i telespettatori che seguono questo canale televisivo – che ha sminuito la gravità del Covid – hanno adottato comportamenti meno prudenti con effetti negativi sulla salute pubblica. L’articolo inoltre (e soprattutto) si focalizza su un insieme di evidenze che mostrano come, nella pandemia, l’attenzione degli italiani ai dati nazionali ha permesso che l’opinione pubblica anche in regioni a basso contagio fosse favorevole a misure di contenimento che avrebbero suscitato resistenza se fossero state invece parametrate ai soli dati locali.


· Da lobbista ad ambasciatore il passo è breve? Casper Klynge, ex ambasciatore danese e oggi responsabile europeo degli affari istituzionali di Microsoft, racconta su Wired il delicato ruolo degli ambasciatori del digitale nel mondo delle 4 internet con riferimento alle regole e vincoli tecnici della rete negli Stati Uniti, in Europa con il Gdpr, in Cina con il Great Firewall e in Russia e India con la censura continua delle connessioni. Klynge non si definisce un lobbista, bensì un vero e proprio ambasciatore, un “costruttore di ponti” tra le Big Tech e la politica. Una figura dunque diversa da quelle del tradizionale lobbista, solitamente un avvocato specializzato nelle relazioni istituzionali delle grandi aziende. Si tratta solo di un modo per nascondere il mal visto lavoro del lobbista o di una novità nel panorama delle relazioni istituzionali? E ancora, tra quanto si parlerà di una disciplina giuridica uniforme che garantisca la trasparenza dei nuovi ambasciatori?


· Gli influencer oggi sono sempre più spesso al centro del dibattito politico per i loro comportamenti, i messaggi condivisi e il ruolo che rivestono per specifici target sociali. Basti pensare alle recenti polemiche scaturite dal “reclutamento” da parte del governo dei “Ferragnez” per sensibilizzare gli italiani sull’uso delle mascherine. In un mondo costantemente connesso e caratterizzato da un linguaggio comunicativo sempre più informale e intimo, le istituzioni devono adesso confrontarsi con un panorama in costante evoluzione, nel quale l’importante non è più l’essere presenti sui social quanto piuttosto come si è presenti e si interagisce su queste piattaforme. Di questo si è interessata la Commissione europea che sostiene l’importanza di una comunicazione efficace attraverso la quale poter raccontare le proprie attività e progetti per informare i cittadini e incoraggiare il dibattito pubblico europeo. Secondo Pablo Perez, responsabile della comunicazione social della Commissione europea fino al 2019, è controproducente servirsi di slogan astratti e vuoti, specialmente in un momento di crisi come questo in cui l’approccio dovrebbe essere sempre più empatico e reale. L’obiettivo principale è quello di coinvolgere la platea di riferimento su tematiche complesse e di più grande interesse attraverso una comunicazione più reale e coinvolgente, affinché siano i politici a trasformarsi in influencer o ambassadors. A partire dallo studio Perceive, condotto in sette paesi europei e coordinato dall’Università di Bologna, si evidenzia uno scarso livello di conoscenza dei cittadini nei confronti delle attività e comunicazioni istituzionali dell’Europa, che dunque potrebbe servirsi dell’aiuto di influencer per avvicinarsi ai cittadini e farsi conoscere meglio attraverso attività quali il nuovo progetto DingDong. Ma è davvero l’affidarsi a queste personalità la strada giusta da intraprendere oppure sarebbe meglio che anche le istituzioni studiassero da queste proponendone una nuova e concreta versione?


· Tra le note operazioni di censura e fact-cheking si inserisce nel panorama italiano anche un nuovo progetto creato da un gruppo di volontari, senza supporti politici, con lo scopo di smontare la “Bestia” e, di conseguenza, la propaganda digitale leghista. La nuova iniziativa si chiama Smask.online e ogni giorno cerca di rispondere ai post di Salvini proponendo una contro-narrazione argomentata con fonti e contesti specifici che possano svelare le dinamiche e le strategie comunicative della “Bestia”. La macchina messa in piedi da Salvini cerca infatti di aumentare il consenso attraverso tematiche quali l’immigrazione e il sovranismo condivise ripetutamente nelle piattaforme social, come Facebook e Twitter. E mentre all’estero sono Twitter e i principali media americani a correggere e limitare la diffusione delle fake news condivise da Trump (vedi Editoriale 8), in Italia il compito sarà ricoperto da un ristretto gruppo di professionisti, docenti e studenti desiderosi di “costruire una comunità capace di contrastare sul terreno digitale operazioni come quelle della Bestia che saranno ancora preponderanti nelle prossime elezioni politiche in Italia”.


· Si parla ancora di censura ma questa volta in maniera differente. Mentre nelle letture precedenti questa veniva messa in atto da organi specifici per combattere la disinformazione e le fake news, questa volta, come riportato nell’articolo di Formiche, è impiegata direttamente da parte dell’Organizzazione mondiale della sanità sulla propria pagina Facebook, nella quale è stato scoperto essere vietato scrivere “Taiwan”, “Wuhan” o anche “China”. Nel corso dell’anno sono state molte le polemiche riguardo i comportamenti e le posizioni prese dall’Oms nei confronti della Cina in merito alla diffusione del Covid, si ricordi infatti, a tal proposito, la scelta di Trump di ritirare formalmente gli Stati Uniti dall’Oms accusandola di sudditanza alla Cina. Inoltre, questo mese il New York Times ha rivelato che l’Oms ha ceduto il controllo dell’indagine sull’origine del coronavirus proprio alla Cina, ostacolando, quindi, lo sviluppo di una ricerca trasparente e indipendente sull’origine del virus. L’Oms e la Cina, la cui credibilità e reputazione quest’anno sono state messa a dura prova (vedi Editoriale 4), hanno affrontato e gestito queste difficoltà a volte anche attraverso una comunicazione poco trasparente e influenzata da accordi commerciali (vedi Editoriale 7), che danneggia una corretta informazione. Le domande e i dubbi riguardo il Covid sono ancora tanti ma, ad un anno dall’inizio di tutto, sarebbe giusto iniziare ad avere anche qualche risposta.

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