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Editoriale 17

La settimana sui media
04 - 10 gennaio

12 gennaio 2021

Corporate citizenship e libertà di parola. La breve vita di Parler. Capitol Hill e geopolitica. Trovare un vaccino per l’infodemia. Vaccini, diplomazia e soft power. Alla ricerca di Jack Ma. Contro lo stato innovatore. Imprese senza democrazia? Sotto il Covid, niente.

La Redazione

· Twitter e Facebook hanno bloccato gli account di Trump a seguito delle violenze a Capitol Hill poiché ritenuto colpevole di diffusione di contenuti falsi e di incitamento alla violenza. Se già nelle scorse settimane i media tradizionali pro Trump, come Fox News, The New York Post e il Wall Street Journal, hanno preso le distanze dalle ultime azioni dell’ex presidente americano, adesso anche i colossi del digitale, per lungo tempo suoi megafoni, gli hanno tolto la parola la voce, infervorando il dibattito e l’opinione pubblica mondiale. Può un’azienda privata limitare la libertà di espressione, per quanto becera, di un esponente politico? E farlo alla fine del suo mandato non è, retroattivamente, un atto di codardia? Oppure Twitter e Facebook si sono comportati, più semplicemente, da corporate citizens attivi, una tendenza sempre più forte in un mondo dove spesso le grandi aziende fanno più politica dei governi? È arrivato davvero il momento per le istituzioni pubbliche di prendere le redini di questo mondo, per poterne definire insieme modalità di utilizzo e nuove regole sulle quali fondare una parte rilevante del destino delle democrazie nel 21° secolo.


· Dalle ore 9 di lunedì 11 gennaio Parler è ufficialmente offline. Dopo Apple e Google, anche Amazon ha sospeso il social network dai suoi server a causa della presenza di “post che chiaramente incoraggiano e incitano alla violenza”. Lo stesso motivo che ha portato alla rimozione del social dagli app store di Google e Apple e al blocco dei profili Facebook e Twitter dell’ex inquilino della Casa Bianca. Qual è il prezzo di questa presa di posizione? Da un punto di vista economico, Wall Street parla chiaro: Twitter – 6%, Facebook – 3,2%; Apple perde il 2,3%, Google l’1,51% e Amazon l’1,81%. Per quanto riguarda l’impatto sul numero di iscritti, le cifre al momento non sono note. Parler è da qualche mese il social preferito della destra conservatrice americana (vedi Editoriale 9) che dopo le scene di Capitol Hill ha visto crescere i download, poi bloccati, del 281% in tutto il mondo balzando in testa alle classifiche dei negozi di app. Tra questi, il leader della Lega Matteo Salvini. Gli effetti nel breve termine sicuramente non sono stati favorevoli alle Big tech (e possibilmente lo avevamo messo in conto), ma il prendere una posizione rischiosa a favore (almeno a detta loro) della tutela della corretta informazione e della sicurezza pubblica potrebbe nel lungo periodo assumere valore per tutti gli stakeholder coinvolti.


· Chi più di tutti ha esultato agli episodi di Capitol Hill sono stati Cina e Russia, che non aspettavano altro che una crisi della democrazia americana per poter imbastire la loro propaganda su di essa. Il Global Times, quotidiano nazionalista di Pechino, ha definito gli episodi “La Waterloo della nazione, che ne distrugge l’immagine globale”, la caduta del “faro della democrazia”. Il giornale cinese riporta l’intervento del portavoce del ministero degli Esteri cinese, Hua Chunying, durante una conferenza stampa. All’augurio di un pronto ritorno alla pace e alla stabilità segue l’affondo con il paragone con le proteste del 2019 a Hong Kong: “I media mainstream negli Stati Uniti condannano l'incidente, definendolo "violenza". Quali parole hanno usato per descrivere le rivolte di Hong Kong? "Visione meravigliosa" e "combattenti della democrazia”. Le dittature più o meno velate del mondo hanno puntato il dito contro il sofferente modello di democrazia occidentale, convinte che la repressione sia sempre meglio della discussione. Gli Stati Uniti vivono una doppia caduta di credibilità, politica e di immagine, che aprirà un interessante spazio al Dragone cinese (e non solo) per riabilitare la propria reputazione crollata in seguito alla pandemia (vedi Editoriale 4): i wolf warriors (vedi Editoriale 3) si preparano a vincere le prossime sfide contro l’arcinemico liberaldemocratico.


· Il mondo ha iniziato a vaccinarsi, ma l’infodemia non ha vaccino (vedi Editoriale 9). Da un lato, diversi gruppi privati su Facebook diffondono teorie senza alcuna base scientifica; dall’altro, sempre sulla piattaforma di Zuckerberg, circolano anche teorie ricavate da dati e aneddoti reali che, per i ricercatori intervistati da The Guardian, sono sempre più difficili da etichettare come fake news perché perfettamente in grado di instillare il dubbio. Rispetto all’attivismo no-vax, Facebook ha inizialmente adottato un approccio tollerante, sostenendo che le affermazioni sui vaccini dovessero rimanere pubbliche per poter essere discusse e verificate; in seguito, con l'aumento delle vittime del coronavirus, e col fatto che la piattaforma sia diventata uno strumento di reclutamento per proteste e nuovi gruppi terroristici, l'azienda ha intrapreso azioni più aggressive. I principali attivisti, però, bannati da Facebook, continuano oggi a diffondere fake news a migliaia di utenti su Instagram. Quando The Guardian ha chiesto perché queste figure, definite “super-spreaders", potessero continuare a utilizzare Instagram dopo aver violato le policy di Facebook, un portavoce dell’azienda ha risposto che non avevano ancora violato le policy di Instagram abbastanza volte da risultare in una cancellazione, e che le violazioni su Facebook non contano ai fini della rimozione degli account da Instagram. Sembra dunque che il colosso di Menlo Park sacrifichi la corretta informazione per il rispetto delle policy aziendali. Posizione forse da rivedere alla luce della scelta di censurare l’ex inquilino della Casa Bianca.


· Mentre l’Europa e gli Stati Uniti hanno da poco dato il via libera ai vaccini di Pfizer e Moderna, quelli Made in China sono invece da tempo diffusi nel mondo. Come infatti riportato dal Sole 24 Ore, lo sviluppo del primo vaccino cinese, prodotto dalla Sinovac Life Sciences di Pechino, è stato avviato già il 28 gennaio 2020, a poche settimane dalla diffusione globale del virus, e seguito, ad oggi, da due ulteriori vaccini messi a disposizione dal Dragone. Sembra evidente che sulla distribuzione del vaccino le potenze occidentali e la Cina giochino adesso un importante banco di prova per la conquista del consenso mondiale e l’aumento della propria sfera d’influenza. La vaccine diplomacy, infatti, è diventata ormai uno strumento rilevante nelle strategie geopolitiche, a metà tra soft power e hard power (vedi Editoriale 11 e 16), capace di generare importante seguito e vantaggi competitivi in alcune aree del globo. La promessa di rendere i propri vaccini un bene pubblico mondiale ha, infatti, permesso alla Cina di ottenere grande consenso in numerosi paesi emergenti o in via di sviluppo, facendo risultare invece l’Occidente come egoista. Una Guerra fredda in evoluzione che la Cina potrà sfruttare, dunque, per ricomporre la propria reputazione a discapito di un Occidente che, distratto e attualmente poco attento a queste dinamiche, potrebbe soffrire ancora di più la potenza e l’influenza mondiale del Dragone.


· Che fine ha fatto Jack Ma? Secondo il Financial Times, Pechino avrebbe proibito ai media nazionali di coprire la notizia della sparizione del patron del colosso tecnologico Alibaba (uomo fra i più ricchi della Cina) e di dare eco ai media internazionali. Nella sua ultima apparizione in pubblico, ad ottobre 2020, Jack Ma ha tenuto un discorso molto duro contro le banche statali e le autorità di regolamentazione finanziaria cinesi. L'impressione più diffusa è che col suo discorso abbia in qualche modo sfidato la leadership cinese e il partito, che a quanto pare hanno inteso le parole di Ma come un guanto di sfida; da allora il suo impero è stato messo a soqquadro dalle autorità di regolamentazione che hanno annunciato un'indagine antitrust su Alibaba, e le azioni per mettere a tacere ogni informazione riguardante il suo fondatore si sono moltiplicate. Non si tratta certo del primo episodio di censura in Cina: negli ultimi mesi il Dragone ha manovrato la propaganda sul coronavirus, tra il controllo dei media tradizionali e digitali e la diffusione di fake news (vedi Editoriale 14). Contrariamente alle volontà di Pechino, la vicenda ha avuto un grande eco internazionale e potrebbe porre la Cina e il suo capitalismo in una posizione scomoda nei confronti dei colossi tecnologici.


· Tra le proposte economiche degli ultimi anni, quella dello stato innovatore di Mariana Mazzucato è una delle più popolari (e controverse). Collocata sbrigativamente nello schema keynesiano (ma per Keynes lo stato deve intervenire quando i mercati non raggiungono spontaneamente l’equilibrio, non per creare innovazione) ha generato forte interesse nelle aree progressiste europee (Mazzucato è stata consulente di Corbyn e lo è ora di Giuseppe Conte) ma allo stesso tempo una ancora più forte reazione da parte dei sostenitori del libero mercato. Il Foglio ha ospitato a stretto giro due interventi per confutare le idee di Mazzucato, entrambi a firma di intellettuali appartenenti o vicini all’Istituto Bruno Leoni. Sullo stesso giornale, era già uscita una dura recensione dell’economista Alberto Bisin contro Il mito del deficit di Stephanie Kelton, teorica della Teoria Monetaria Moderna, secondo la quale il deficit pubblico non è un reale limite per i governi. Il Foglio è un giornale posizionato chiaramente su questi temi, ma tracce del rinnovato dibattito pubblico- privato si trovano ovunque nella pubblicistica mondiale, un dibattito ancora più attuale oggi che gli Stati dovranno decidere che fare dei 750 miliardi di euro del Recovery Fund.


· Come riportato dall’Harvard Business Review, per anni le imprese americane e globali hanno dato per scontate le istituzioni e la democrazia americana ma, con i fatti avvenuti la scorsa settimana a Capitol Hill, anche le stesse imprese dovranno muoversi per preservare la democrazia. Nonostante possa sembrare che gli interessi dei governi e quelli delle imprese siano a volte contrastanti, rafforzare la democrazia rappresenta invece l’unico modo per garantire la sopravvivenza diffusa del libero mercato e, di conseguenza, la prosperità e le opportunità che lo caratterizzano. Gli imprenditori dovrebbero, dunque, sostenere la democrazia esponendosi in prima persona attraverso azioni e parole che possano ispirare e creare valore reciproco nell’intero territorio e, al contempo, agire collettivamente per sostenere norme, politiche e processi a sostegno del bene pubblico in quanto valore collettivo per una società democratica. Capire e avere a cuore il significato della democrazia sarà l’elemento di distinzione nel mondo delle imprese che dovranno sempre di più utilizzare il proprio potere d’influenza e i propri canali per dimostrarne attivamente l’importanza, in quanto dono e bene comune garante di giustizia, libertà e benessere per tutti.


· Tutto ciò che non è virus diventa quasi invisibile. Secondo Repubblica, in Italia, tra infodemia e ipercomunicazione (vedi Editoriale 14) le notizie del mondo che non riguardano il Covid passano in secondo piano. Ma questo fenomeno ha colpito anche altri Paesi? La Germania, ad esempio, è stata modello di una corretta gestione della comunicazione di crisi, raccogliendo grande consenso non solo internamente, ma anche a livello internazionale, influenzando le decisioni e i comportamenti dei paesi vicini (vedi Editoriale 13). La comunicazione chiara e precisa ha evitato la confusione, lasciando spazio anche ad altri temi rilevanti. L’impressione è che nel nostro Paese la cattiva gestione della comunicazione di crisi abbia contribuito al dilagare della confusione, lasciando poco spazio per trattare altri temi oltre al Covid. Che questo sia strumentalizzazione o meno, a subirne gli effetti sono in primis i cittadini.

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