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Editoriale 47

La comunicazione sui media
30 - 05 settembre

7 settembre 2021

Il bisogno di antagonismo ideologico alla base dei movimenti no-vax. Insieme ai soldati, anche il giornalismo americano lascia Kabul. La riforma cinese per l’industria dell’intrattenimento. Byoblu, la regina della controinformazione. Facebook contro la viralità polarizzante: mossa di facciata?

La Redazione


Il bisogno di antagonismo ideologico alla base dei movimenti no-vax


I movimenti no-vax non sono di certo una novità, esistono da sempre; la novità, però, è la forma tramite la quale portano avanti le proprie motivazioni. Come è possibile che un certo numero di persone non si lasci convincere dai dati di fatto, insinui il sospetto su informazioni che hanno basi scientifiche, contesti l’autorità sanitaria e civile, trasformi in protesta anche violenta l’opposizione ai vaccini contro il Covid, comunichi sui social o in tv astruse teorie complottistiche secondo le quali un potere criminale sarebbe intento ad eliminare libertà e autonomia dell’individuo per dominarlo? Il Foglio riporta una delle probabili motivazioni: il bisogno di antagonismo ideologico. Il Novecento, con le guerre mondiali e la storica contrapposizione fra sistemi di valori, ha dato sfogo al conflitto latente nella natura umana. L’avvento della pace ha cambiato tutto: manca, infatti, quella contrapposizione che possa soddisfare la sete di dividersi in due schieramenti. Ed ecco che il movimento no-vax si esprime con nuove modalità, come la mobilitazione attiva che sfrutta strumenti propagandistici e politici, l’ideologia che rigetta per ragioni libertarie l’uso della mascherina e il distanziamento sociale, le persecuzioni ad operatori del settore e giornalisti. Si fa appello a manifestare in piazza sfruttando canali nuovi (vedi Editoriale 46), cercando di alimentare una contrapposizione dubbiamente legittima alle regole ed ai poteri di controllo su cui si basa la coesione di una società democratica e liberale. L’opposizione alla scienza, la mobilitazione in forme populiste e antidemocratiche per cancellare le regole inique scritte da poteri delegittimati sono, per una minoranza di antagonisti, i temi che soddisfano la sete di contrapposizione tipica della condizione umana che, in tempo di pace, non troverebbe sfogo diversamente.



Insieme ai soldati, anche il giornalismo americano lascia Kabul


Come riporta Formiche, l’arrivo dei talebani al potere a Kabul rappresenta una ghiotta opportunità per Pechino: spingere ancora di più la sua retorica anti-americana. Difatti, il quotidiano cinese Global Times ha pubblicato un editoriale in cui l’autore, Franz Gayl, ex marine americano, veterano in Iraq e whistleblower del Pentagono, sostiene che tutti sono stati “abbandonati” dagli Stati Uniti. I cinesi, per portare avanti la propria retorica, faranno leva anche sul giornalismo contando sul fatto che China media group sarà tra i pochi organi autorizzati a entrare e filmare l’aeroporto di Kabul in mano ai talebani. Un privilegio per pochi, quello di potere restare sul territorio afgano per fare una copertura mediatica dopo la ritirata della corrispondente della Cnn, Clarissa Ward. Per le altre testate, almeno per ora, sembra non esserci spazio; la prova sarebbe anche la presunta persecuzione di una giornalista della tedesca Deutsche Welle e l’uccisione di un membro della sua famiglia.



La riforma cinese per l’industria dell’intrattenimento


Il governo cinese ha deciso di vietare alcuni famosi programmi di intrattenimento e talent show per salvaguardare i veri valori del Partito. In particolar modo, come spiega l’articolo del The Guardian, l’oggetto della critica riguarda i personaggi del mondo dello spettacolo che hanno estetiche e atteggiamenti “effemminati”, oppure sono esempi di dissolutezza, esagerata ricchezza e volgarità. Ciò che la Cina vuole fermare è un culto irrazionale delle celebrità. L’obiettivo sembrerebbe quello di educare le generazioni più giovani secondo i valori del Partito comunista cinese, allontanandole dagli attuali idoli degli adolescenti, nati grazie a trasmissioni televisive popolari oppure su Tik Tok. Oltre alla difesa della moralità, il governo intende regolare la vita degli artisti anche dal punto di vista economico: ha fatto scalpore la notizia della multa per l’attore cinese Zheng Shuang di 46 milioni di dollari per evasione fiscale. Tuttavia, dietro questa presunta lotta per la moralità del Paese si nasconde l’ennesimo tentativo di controllo e censura della cultura popolare (vedi Editoriale 37 e 39) e fa riflettere la volontà di imporre il valore della mascolinità, soprattutto alla luce dalla richiesta da parte dell’Università di Shanghai di stilare una lista di tutti gli studenti lgbtq+ con un rapporto sul loro stato mentale (The Guardian).



Byoblu, la regina della controinformazione


Il quartier generale della controinformazione risponde al nome di Byoblu, blog, tv e casa editrice diretta da Claudio Messora. Come riporta Il Foglio, dal 2007 Byoblu diffonde verità diverse e negli anni ha visto crescere il suo team da 3 a circa 40 dipendenti tra giornalisti e tecnici per la tv. Sul sito di Byoblu si leggono, tra le altre cose, articoli sull’ “ossido di grafene e l’effetto cavallo di Troia nell’organismo umano”, si ascoltano docenti sulle “prove di criminalizzazione del pensiero non allineato” e si sostengono tesi “scientifiche indipendenti” che rimbalzano su bacheche di vari orientamenti che hanno in comune il fatto di mettere sempre in dubbio il “mainstream”, a costo di andare contro al buonsenso, che si trattasse di cure per gravi malattie o del Covid, passando per i complotti. Nel marzo scorso, Youtube ha chiuso il canale video di Byoblu. Motivazione: “Pubblicazione di contenuti che violano le norme sulla disinformazione in ambito medico relativamente al Covid-19”. Fatto sta che era già partito il crowdfunding per il canale digitale. Ad agosto sono arrivati 170 mila euro. Infatti Byoblu non ha investitori, non ci sono soci di capitale, ma solo cittadini che contribuiscono volontariamente. Poi ci sono i libri (Eresia, riflessioni politicamente scorrette sulla pandemia di Massimo Citro Della Riva ha venduto 30.000 copie), e l’avvio di una concessionaria di pubblicità.



Facebook contro la viralità polarizzante: mossa di facciata?


Facebook scende in campo contro l’estremizzazione sui social limitando la distribuzione dei contenuti politici. Una correlazione che il colosso studia dal 2016, scoprendo ad esempio che nel 64% dei casi sono i propri algoritmi a suggerire agli utenti gruppi estremizzanti. Formiche riporta che la piattaforma ammise il problema nel 2018, ma fu l’assalto a Capitol Hill (e le riflessioni obbligate sui social che ne sono scaturite), a spingerla ad agire: annunciò che avrebbe iniziato a sperimentare la riduzione dei contenuti politici in quattro paesi. Nell’aggiornamento pubblicato la scorsa settimana, Facebook annuncia che i test “per mettere meno enfasi su indicatori come la probabilità che qualcuno commenti o condivida contenuti politici” hanno avuto risultato positivo, e saranno quindi utilizzati in altri quattro paesi. Secondo Wired il comunicato dell’azienda costituisce “il riconoscimento più esplicito fino ad oggi, da parte di una piattaforma importante, che ‘ciò con cui le persone interagiscono’ non è sempre sinonimo di ‘ciò che le persone apprezzano’”. Di più, denota che “questo fenomeno non è limitato a [contenuti] che minacciano di violare le regole di una piattaforma, come la pornografia o l’incitamento all’odio”. La sensazione, comunque, non è che gli obiettivi di Facebook – massimizzare gli utenti e il loro coinvolgimento per guadagnare dalle inserzioni – siano cambiati, ma che potrebbe trattarsi di una mossa per abbassare il profilo di rischio dell’azienda, da tempo osservata speciale dei regolatori.

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