Editoriale 31
La comunicazione sui media
12 - 18 aprile
18 aprile 2021
Gli instancabili wolf warriors cinesi e l’America first di Biden. La reputazione dei vaccini: un’indagine di Reputation Science. Il complesso rapporto dei politici tedeschi con il proprio Paese e uno sguardo al nuovo modello di intervista self made man. La lotta della scienza che esce dalla torre d'avorio.
La Redazione
Gli instancabili wolf warriors cinesi
Come riportato dal Financial Times, a seguito degli scontri diplomatici con l’UE, gli Stati Uniti, il Regno Unito e il Canada per le presunte violazioni dei diritti umani nello Xinjiang (vedi Editoriale 28), la Cina ha deciso di imporre sanzioni ai governi oppositori minacciando gli accordi commerciali e i negoziati. La Cina punta a migliorare la reputazione, messa duramente alla prova lo scorso anno, attraverso l’influenza economica e l’incessante attività dei Wolf Warriors (vedi Editoriale 1) per non dover subire altre umiliazioni e accuse dopo quelle per lo scoppio della pandemia. Un esperto di politica estera cinese allo Stimson Center di Washington ha affermato al Financial Times che il Partito comunista si prepara a celebrare il centenario della sua fondazione e, avendo necessità di dimostrare la sua forza e i suoi risultati, certamente non avrà un approccio morbido nella gestione delle relazioni e dei dibattiti esteri. È inoltre notizia di questi giorni la grande crescita del PIL cinese nel primo trimestre del 2021 (+ 18% su base annua) alla quale l’Europa e l’America guardano con grande invidia. Basterà per riconquistare credibilità?
L’America first di Biden
La Voce racconta le diverse politiche adottate dei paesi sui vaccini (vedi Editoriale 17). Mentre USA e Gran Bretagna attuano politiche protezioniste, l’Europa si sta affidando ai principi del libero scambio e al rispetto dei contratti. Andando in ordine, la Cina è stata il maggior produttore mondiale di vaccini con oltre 230 milioni di dosi (e ha fatto della loro vendita all’estero un importante strumento politico e di propaganda in molti paesi emergenti), seguita dagli Stati Uniti, dall’Europa e dall’India con rispettivamente 190, 141 e 131 milioni. Più distante l’Inghilterra con 21 milioni di dosi fabbricate. Quello che appare tuttavia più sorprendente è che mentre la Cina, l’Europa e l’India hanno esportato circa la metà della loro produzione, gli Stati Uniti, nella versione America first di Biden, hanno inviato solo 30 milioni di dosi in Canada e neppure una fiala è uscita dall’Inghilterra. Questa è la prova di come gli stati con una più forte tradizione liberista abbiano anteposto gli interessi nazionali e si siano dimostrati decisamente mercantilisti. In questo contesto come appare l’Europa? Debole, incerta, legata ai principi del libero scambio e al rispetto dei contratti. Le marcate differenze tra Unione europea e Stati Uniti in termini di commercio dei vaccini trovano interessanti analogie se si guarda ai finanziamenti pubblici alla ricerca: 2,7 miliardi di euro contro i 5,72 miliardi di dollari. Quindi, non è forse un caso che gli USA detengano tre dei quattro brevetti sui vaccini oggi ammessi nei paesi occidentali e che il quarto sia in mano britanniche.
La reputazione dei vaccini: un’indagine di Reputation Science
Un’indagine di Reputation Science, pubblicata su Prima Comunicazione, ha evidenziato che i social influenzano più positivamente la reputazione complessiva dei vaccini anti-Covid rispetto ai siti di informazione online, che canalizzano in modo maggiore le opinioni negative sui vaccini. La conversazione online negli ultimi 2 mesi si è focalizzata principalmente su AstraZeneca, che da solo ha raccolto il 56,5% delle conversazioni totali sui vaccini. Pfizer/BioNTech (18,7%) e Moderna (9,8%) restano a distanza, mentre per altri vaccini la curva volumetrica si è quasi esaurita. Considerando la categoria dei vaccini nel loro insieme, la variazione della reputazione nel periodo considerato è negativa. Le posizioni risultano molto più polarizzate rispetto al periodo precedente, come mostra l’aumento dei contenuti molto negativi, che passano da 0,1% a 5,1%. A guidare le opinioni sono stati soprattutto i temi relativi alla somministrazione dei vaccini, che hanno rappresentato il 21% del totale, seguiti dalla distribuzione. I contenuti che hanno più spostato i livelli reputazionali in area negativa, da parte dell’Italia e di altri Paesi europei, sono collegati alla sospensione delle somministrazioni di AstraZeneca per via di alcuni sospetti effetti collaterali gravi sorti in persone che avevano da poco ricevuto il vaccino. Alla luce dei trend emersi nell’ultimo bimestre, la distribuzione del sentiment fra vaccini a partire da dicembre vede al primo posto Moderna (+1850 r), seguito da Sputnik V (+1027 r) e J&J (+470,7 r); agli ultimi posti troviamo invece Pfizer che, pur recuperando terreno dalla rilevazione precedente, rimane in territorio negativo con -902 r, e AstraZeneca, all’ultimo posto, con -6108 r.
Il complesso rapporto dei politici tedeschi con il proprio Paese
I principali fallimenti della Germania sono dovuti al suo rapporto disfunzionale con il concetto di “nazione”. Secondo Linkiesta il governo tedesco adotta due atteggiamenti diametralmente opposti quando si tratta di salvaguardare gli interessi del proprio Paese. Il primo è eccessivamente prudente: per non essere etichettata come “nazionalista”, Angela Merkel ha infatti delegato l'approvvigionamento dei vaccini all'Ue nonostante uno dei primi vaccini sia stato sviluppato proprio dalla società tedesca BioNTech. Il risultato è che la campagna vaccinale tedesca è ora molto in ritardo rispetto ad altri paesi. Lo stesso approccio è stato utilizzato durante la crisi dei rifugiati del 2015/2016: Angela Merkel credeva di poter convincere tutta l'Europa ad aprire le sue frontiere e, alla fine, si è ritrovata sola con la sua politica dei rifugiati. Stesso discorso vale per la lotta alla criminalità organizzata ad opera dei grandi clan arabi: per non essere definiti “xenofobi” i politici e media tedeschi hanno taciuto per anni i crimini commessi e questa è la ragione per cui ancora adesso in Germania si sta affrontando tale problema. Il secondo atteggiamento verso il concetto di “nazione”, invece, è caratterizzato da una certa megalomania: la Germania è determinata ad essere il modello mondiale della lotta ai cambiamenti climatici, nonostante sia responsabile solo del due per cento delle emissioni globali di CO2. Ha infatti avviato una campagna antinucleare che, più che portare a benefici, ha causato un aumento esponenziale del costo dell'energia elettrica. Timidezza o hybris? Un bilanciamento sembra impossibile, ma tra i ritardi e gli errori, l'unica certezza è forse Angela Merkel che ha saputo dimostrare, durante la lotta al coronavirus, risolutezza ed empatia (vedi Editoriale 28 e 13).
Un nuovo modello di intervista: self made man
Si chiama “sonoro”, ed è il nuovo modello di intervista self made man dei politici. 15 secondi di playback, di flusso di coscienza senza contradditorio, che verrà poi confezionato e smistato a televisioni, agenzie e testate da parte degli uffici stampa. Ma come funziona? Il Foglio racconta che i responsabili della comunicazione di alcuni partiti – soprattutto M5S e PD – inviano degli sms ai giornalisti con una convocazione: “ore 18, sonoro con Licheri – fontana Staderari”. I giornalisti si presentano all’appuntamento con videocamera e microfono, ma l’unica cosa che possono fare è raccogliere “l’importante e definitivo punto di vista del politico”, che viene immediatamente portato via dal suo staff. Non c’è nessuna possibilità di porre un interrogativo, di raccogliere una dichiarazione che vada di pari passo con la cronaca da inserire in un quadro di giornata. Il fenomeno è probabilmente esploso durante la prima fase della pandemia, quando i politici registravano autonomamente i video con le proprie dichiarazioni, e si è consolidato durante l’epoca Casalino, che ha portato il giornalismo ad adattarsi anche ai banchetti situazionisti di Giuseppe Conte (vedi Editoriale 14). L’epoca che stiamo vivendo è una di quelle in cui l’informazione gioca un ruolo fondamentale. Anche il presidente della Camera, Roberto Fico, ne ha ricordato l’importanza. Questa prassi, però, non rappresenta sicuramente la strada migliore per un sano e produttivo confronto tra politica e società civile. Rappresenta, piuttosto, un’umiliazione di 15 secondi per i giornalisti e un aumento della distanza tra la politica e il popolo, sempre più insofferente verso una classe dirigente distaccata dalle sue necessità.
La lotta della scienza che esce dalla torre d'avorio
Il Foglio riporta la testimonianza di Enrico Bucci, Adjunct Professor presso la Temple University di Philadelphia e ricercatore del CNR, in merito alla tempesta diffamatoria che ha subito per i suoi sforzi di debunking. Portavoce di una Scienza che scende dalla cosiddetta “torre d’avorio”, Bucci si è battuto per confutare la disinformazione riguardante Xylella fastidiosa, che, insieme al batterio, è stata “concausa della distruzione degli ulivi salentini”. Il suo impegno ha scatenato critiche e accuse denigratorie - tra gli altri epiteti, è stato definito “super esperto millantatore di titoli e cattedre, in combutta con un manipolo di politici corrotti”. Secondo Bucci, tale approccio comunicativo serve “a togliere la parola ben prima che possa intervenire qualsiasi smentita o forma di verifica”. Comunque, dopo aver investito tempo e risorse, il Professore ha ottenuto che venissero perseguiti secondo un Decreto penale. Si tratta di un caso emblematico che testimonia come gli uomini di scienza e di cultura possano, difendendosi, “costringere certi mendaci diffamatori a rendere conto delle proprie azioni”.