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Editoriale 104

La comunicazione sui media
24 - 30 ottobre

2 novembre 2022

Tik Tok, una sveglia per Biden. Intensificare la propaganda. L’autoelogio cinese. #MeToo a marcia indietro. L’eredità comunicativa della Thatcher. E alla fine arriva Musk. Giornalismo ed emergenza climatica. Outsider competenti in ambito scientifico. Dove si informano gli americani.

La Redazione


Tik Tok, una sveglia per Biden


In occasione delle elezioni di midterm, che sanciranno quanto potere reale resterà nelle mani del presidente Biden, è importante giocare bene le proprie carte per mantenere saldo e forte il legame con gli elettori. Come racconta The Washington Post, i social, nello specifico TikTok, sono uno degli strumenti più utilizzati per avvicinarsi ai cittadini. Non a caso lo stesso leader americano ha trascorso più di un'ora questa settimana alla Casa Bianca con otto stelle di TikTok con un seguito combinato di oltre 67 milioni di followers. Gli influencer sono stati portati a Washington nella speranza che i loro contenuti diventino voti utili per i democratici. Oltre a visitare lo studio ovale, i creatori di TikTok hanno partecipato a un dibattito con l'ex presidente Barack Obama, hanno visitato la Corte Suprema e il Campidoglio e si sono incontrati con i leader del Comitato Nazionale Democratico e del Comitato per la Campagna del Congresso Democratico. Una scelta criticata dai repubblicani ma che racconta di come la politica oggi si giochi non solo nelle piazze cittadine ma anche in quelle del web. Tik Tok è uno strumento che non tutti sanno usare e che può essere utile per informare ed educare come si evince dal racconto degli stessi influencer. Il rischio però è di incappare in due lati di una stessa medaglia: da una parte la viralità di uno strumento come TikTok, dall’altra (forse come in questo caso) una scelta quella di Biden che si allontana dalle esigenze sociali delle persone mantenendo distacco attraverso una narrazione che può apparire di facciata e propagandistica a tutti gli effetti. A fare la differenza sarà il modo in cui verranno usati i contenuti che, se veicolati male, possono acuire una massiccia diffusione di fake news e teorie complottiste in grado di colpire un pubblico molto sensibile (vedi Editoriale 94).



Intensificare la propaganda


Le affermazioni della Russia secondo cui l'Ucraina starebbe usando tattiche terroristiche non sono nuove. Questa volta il Cremlino inquadra la guerra come un’operazione antiterrorismo e accusa l’Ucraina di pianificare un “dirty bomb attack”, come riporta un articolo del New York Times. L'intensità delle discussioni online è aumentata questa settimana, come ha dichiarato Jonathan Teubner, amministratore delegato di FilterLabs, una società che traccia il sentiment pubblico in Russia e altrove. È evidente che la narrativa antiterroristica fa parte di una propaganda più ampia, che mira a far sentire i russi più coinvolti nella “people’s war”. Un conflitto non scelto da Mosca, ma una lotta esistenziale per salvare il Paese, come è stata definita dal Cremlino. Le operazioni di disinformazione non sembrano aver influenzato l'opinione pubblica occidentale, ma i post sui social media riguardo la possibilità di un attacco con “dirty bomb” sporche hanno preso spazio in Russia. La spinta propagandistica contro lo “Stato terrorista” diventa quindi l’ennesima scusa per giustificare un’azione più dura da parte di Mosca.



L’autoelogio cinese


La Cina non sembra intenzionata a cambiare direzione di marcia. Come riporta lavoce.info, infatti, la relazione presentata dal presidente Xi Jinping al 20esimo congresso del Partito Comunista Cinese poggia su pilastri storici: autosufficienza e sicurezza nazionale. Gli obiettivi che hanno guidato questa relazione sono stati due: uno di origine politica e uno esclusivamente mediatico, entrambi comunque volti a distogliere l’attenzione dai reali problemi interni del Paese. A livello politico, il presidente ha voluto reiterare gli antichi slogan ripetuti in linguaggio criptico, a livello mediatico lo scopo era mettere in luce la sfilata delle nomine (e delle estromissioni) per rinsaldare la sua immagine di unico leader. Il discorso di Jinping si è concentrato sugli elogi alle misure di contenimento anti-covid ancora in vigore e sulle future misure di “regolazione” della ricchezza accumulata che verteranno  verso una redistribuzione tra classi sociali. Tra le riforme previste per il Paese si è parlato anche di autosufficienza nazionale, soprattutto in campo tecnologico, punto su cui si è insistito per mettere in luce innovazione e modernizzazione. Del tutto assenti i riferimenti alla situazione economica della Cina che, fra le dure restrizioni per controllare i contagi e i consumi interni trainati solo dalla classe media e dai “nuovi ricchi”, versa in condizioni difficili. Ciò si riscontra dai dati di crescita del Pil 2022 al 3,9%, il dato più basso degli ultimi trent’anni, e dalle importazioni a crescita zero, trend già attivo da alcuni anni. La celebrazione e la sponsorizzazione delle riforme cinesi da parte della Cina stessa non sono temi nuovi al regime che già da tempo ha intensificato i suoi sforzi per influenzare l'opinione pubblica mondiale, costruendo un vero e proprio impero mediatico internazionale (vedi Editoriale 84).



#MeToo a marcia indietro


Sono passati cinque anni dalle prime accuse di molestie sessuali contro il produttore cinematografico Harvey Weinstein e dalla nascita del movimento #MeToo. Il New York Times ha condotto un’indagine, intervistando diverse persone del mondo del cinema (alti dirigenti, agenti, attivisti, attori), per capire cosa è cambiato a Hollywood dopo il #MeToo. Sicuramente il movimento ha posto maggiore attenzione sulla diversità, l'equità e l'inclusione, temi che riguardano non solo chi può girare i film ma anche i loro protagonisti. Inoltre, gli attivisti affermano che la tolleranza zero per le molestie sessuali e la discriminazione sul posto di lavoro è reale. Negli ultimi mesi, tuttavia, la cultura imprenditoriale di Hollywood ha iniziato a cambiare. Nuovi problemi, come la crisi dei cinema e l’aumento dei costi che i produttori temono si tradurranno nella chiusura delle riprese, sono diventati una priorità più importante. Così, le società di media che si erano pronunciate a favore del movimento #MeToo e Black Lives Matter stanno diventando più caute. In situazioni private, alcuni degli addetti ai lavori di Hollywood stanno tornando ad un linguaggio sessista e razzista. I produttori mettono anche in dubbio “la fattibilità commerciale di film e spettacoli orientati all’inclusività”, anche se alcuni studi continuano nelle loro scelte, come nel caso de “La sirenetta” e “Biancaneve” della Disney. Inoltre, secondo il Times, uomini accusati di cattiva condotta sono tornati a lavorare senza conseguenze rilevanti (Johnny Depp, James Franco, John Lasseter). Le compagnie di intrattenimento non hanno intenzione di revocare le dure politiche sulle molestie sessuali, in parte perché temono di dover affrontare cause legali. Tuttavia, il tema dell’inclusività rischia di essere messo in secondo piano a causa di una possibile recessione e di nuovi tagli ai budget. L’industria del cinema è complessa, dipende da fattori esterni che spesso non vengono percepiti, e non sempre seguire le mode può essere una soluzione. Ascoltare la sensibilità del pubblico potrebbe essere la strada giusta.



L’eredità comunicativa della Thatcher


Difficile immaginare i governi Blair, Cameron, Johnson e Truss senza tenere conto dell’eredità lasciata da Margaret Thatcher in termini di comunicazione. A sostenerlo è Simon Petherick, che sul Guardian racconta la sua esperienza di impiegato del Central Office of Information durante l’era della Lady di Ferro a Downing Street. La sua testimonianza è quella di uno spettatore che “aveva un posto in prima fila mentre il governo britannico iniziava a perdere contatto con la realtà”. Petherick ha accettato quel lavoro - precisa - perché il compito del dipartimento era descrivere in maniera chiara e obiettiva ai cittadini l’operato del governo; i partiti restavano fuori dal discorso. Per qualche tempo le aspettative sembrano essere rispettate, e nelle stanze del COI aleggia l’idea di fare parte di un contratto ben preciso tra cittadini e governo: i primi chiedono al secondo di esaudire i loro desideri, e ricevono un resoconto chiaro delle attività dello Stato. Intanto, però, qualcosa comincia a cambiare: aumentano gli investimenti governativi in pubblicità (più che raddoppiati nel 1986), di cui Thatcher inizia a cogliere, seppur tardivamente, le potenzialità. Il 1987 è il momento in cui crolla ogni illusione: il governo deve annunciare il nuovo sistema di tassazione Community Charge (noto come “poll tax”), ma le istruzioni che arrivano per la realizzazione di un vademecum in merito sono diverse dal solito. Esse, infatti, rappresentano, una giustificazione politica della poll tax, e dopo che il COI esprime delle perplessità il compito viene affidato all’agenzia pubblicitaria del Department of Environment. Un cambio notevole nel modo in cui il governo comunica con l’elettorato, dove la nozione di verità obiettiva così cara a Petherick e i suoi colleghi ha molte più difficoltà di cittadinanza di quanto non ritengano. E che ha plasmato la comunicazione politica di oggi.



E alla fine arriva Musk


Con il nuovo proprietario di Twitter si prevedono potenziali cambiamenti per la piattaforma social, alcuni dei quali già annunciati da Musk che sostiene però di voler mantenere e incentivare la libertà di parola senza limiti all’interno della piattaforma. Giusto incentivare la libertà di espressione ma i social ci hanno già insegnato che la comunicazione online ha bisogno di limiti e regolamentazioni, che lo stesso Musk però non sembra sostenere. A pochi giorni dall’acquisizione, come riportato dal New York Times, Musk ha condiviso, e poi cancellato, su Twitter un articolo di un sito noto per pubblicare notizie false che muoveva accuse infondate verso la presidente della Camera Nancy Pelosi. Insieme a questo, come raccontato invece dal Washington Post, nelle ore successive all'acquisizione del social numerosi account anonimi su Twitter hanno celebrato l'acquisizione di Musk attraverso contenuti razzisti ed estremisti sostenendo quindi l’inizio di una “nuova era” per il social. Questi episodi, uniti al licenziamento dei vertici, e la poca chiarezza di Musk sulla direzione che prenderà il social network stanno creando dubbi e preoccupazioni in alcuni utenti e investitori, come ad esempio la General Motors che ha deciso di sospendere temporaneamente la pubblicità sulla piattaforma fino a quando Musk non darà chiarezza sulle sue intenzioni. Nel giro di poche ore, la rappresentazione di Musk come “custode della libertà di parola” e la sua feroce critica all’eccessiva rigidità dei precedenti dirigenti dell'azienda sembrano aver incoraggiato numerosi account estremisti di Twitter a condividere messaggi d’odio e comportarsi come se la sua acquisizione significasse che le vecchie regole contro il “bigottismo” non fossero più applicabili. Certamente Twitter sarà al centro di grandi discussioni e controversie ma, dopo tutto questo, Musk agirà realmente per combattere la disinformazione e i discorsi di odio sulla sua piattaforma?



Giornalismo ed emergenza climatica


Tre anni fa è nato Covering Climate Now con lo scopo di colmare il divario tra l’emergenza climatica e gli sforzi del giornalismo per raccontarla. Come riportato da CRJ, il giornalismo ha compiuto passi da gigante su questo tema e il risultato è stato raggiunto grazie alla perseveranza e alla diligenza di migliaia di giornalisti in tutto il mondo, ma anche grazie alle persone che possono guardare fuori dalla finestra e vedere con i loro occhi la gravità dell’emergenza. Così, il pubblico ha iniziato a prestare maggiore attenzione al cambiamento climatico e sta spronando le migliori redazioni a fornire più reportage che soddisfino l'urgenza del momento. Le redazioni stanno trovando modalità innovative e creative per raccontare tale fenomeno, ma ora è necessario che la narrazione si muova verso la ricerca delle soluzioni per risolvere la problematica. Covering Climate Now sta lavorando per sviluppare linee guida su come realizzare reportage sulle soluzioni climatiche con rigore giornalistico e integrità. Un principio fondamentale è che la ricerca di buone soluzioni non fa il tifo per questo o quell'approccio, ma li analizza e informa il pubblico e i politici su quali funzionino e quali no. Pubblicare più storie sul clima informa il pubblico che il cambiamento climatico è importante e occuparsi delle soluzioni sottolinea che si può fare qualcosa al riguardo, il che aiuta a spiegare perché Covering Climate Now ritiene il giornalismo un attore essenziale contro l’emergenza climatica: perché può aiutare a educare un gran numero di persone su cosa sta succedendo e su come cambiare le cose prima che sia troppo tardi.



Outsider competenti in ambito scientifico


Sessantacinque anni fa, una sfera metallica colse di sorpresa le comunità scientifiche e l’intelligence americane. Si trattava dello Sputnik 1, il primo satellite artificiale lanciato in orbita dalla Russia che aprì gli occhi ai politici sul ritardo nell'istruzione e nella formazione degli scienziati. In risposta, il governo americano iniziò a investire nell'istruzione scientifica a tutti i livelli. Tuttavia, le riforme dell'era Sputnik - come riporta Scientific American - furono in gran parte fallimentari nell'aiutare il pubblico a capire come funziona la scienza, perché è importante e perché e quando ci si dovrebbe fidare di essa. Leggendo la maggior parte dei libri di testo, uno studente potrebbe non rendersi conto che prima che emergano fatti e modelli consolidati, c'è un periodo di incertezza e disaccordo. Da qui si potrebbe essere portati a dubitare dell'intero sistema, creando uno spazio alle false credenze e alla propaganda antiscientifica. Oggi più che mai le persone devono comprendere il modo in cui la scienza cerca di minimizzare gli errori. In altre parole, ogni membro della nostra società deve essere quello che lo studioso di educazione scientifica Noah Feinstein chiama un “outsider competente”. Per diventare competenti outsider, però, gli studenti devono imparare come la scienza produce conoscenza affidabile.



Dove si informano gli americani


Secondo una recente analisi di Pew Research Center pubblicata su Nieman Lab, il 10% degli adulti americani dichiara di informarsi regolarmente su TikTok: la percentuale è triplicata rispetto al 2020 in cui si assestava al 3% e oggi arriva al 26% tra i giovani under 30 che affermano di utilizzare Tik Tok come primcipale fonte di informazione. L'aumento di diffusione di notizie su questa piattaforma avviene mentre l'utilizzo della maggior parte degli altri social network per informarsi è invece diminuito. Anche Instagram è in aumento, ma di poco. L'uso di Facebook per informarsi è calato maggiormente negli ultimi due anni: oggi, meno della metà degli americani dichiara di ricevere regolarmente notizie da Facebook. Questo calo si è verificato quando Facebook ha ridotto il numero di notizie; un portavoce dell'azienda ha dichiarato di recente che attualmente meno del 3% di ciò che le persone di tutto il mondo vedono nel feed di Facebook sono post con link ad articoli di notizie.

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