top of page

Editoriale 32

La comunicazione sui media
19 - 25 aprile

25 aprile 2021

Una Superlega contro lo spirito del tempo. I media nelle sentenze della Corte Suprema americana. Perché le riviste mediche non parlano di razzismo e i suoi effetti. Immigrazione: come viene percepita l’Italia dai paesi europei. Una chiacchierata con il Direttore del New Yorker. Il paradosso dei Big Tech: boom di clienti, reputazione fragile. Integrazione europea e opinione pubblica.

La Redazione


Una Superlega contro lo spirito del tempo


Il tentativo fallito di costituire la Superlega europea è stato un buon esempio di quello che scrive Tomas Piketty nel suo Capitale e ideologia: se vuoi far succedere qualcosa nella realtà devi prima farlo accadere nella mente degli uomini. È troppo facile dire che i promotori del progetto hanno sbagliato soprattutto la comunicazione (rimarrà negli annali l’intervista ad Andrea Agnelli su Repubblica, nella quale il presidente della Juventus parla di un “patto di sangue” tra i partecipanti nello stesso momento in cui le squadre inglesi avevano scelto di recedere, scusandosi). Può invece essere d’aiuto ricordare quello che scriveva Douglas North, insignito del Premio Nobel per l’Economia nel 1993: “Le scienze cognitive ci hanno insegnato che la mente non funziona in astratto, ma in continuo riferimento ad una struttura di credenze che essa contribuisce a modificare sulla base delle esperienze e la componente razionale è solo una delle molte. (...) La conoscenza cumulativa incorporata nel linguaggio, nella memoria e nei sistemi simbolici di conservazione include le credenze, i miti e le pratiche che insieme costituiscono la cultura di una società”. (...) Le credenze dominanti – quelle degli imprenditori politici ed economici che sono in condizione di assumere decisioni – determinano con il tempo lo sviluppo di un’elaborata struttura di istituzioni, la quale a sua volta determina la performance economica e politica.” Chi ha progettato la Superlega è andato contro un sistema di credenze – o, se vogliamo, contro lo spirito del tempo - che nell’era del Covid prevede cooperazione e solidarietà.  Il Recovery Fund e il Green Deal, la loro impostazione e la loro filosofia di base, avrebbero dovuto segnalare ad Andrea Agnelli, a Florentino Pérez e ai proprietari delle squadre inglesi che un progetto elitista non può avere, almeno oggi, molte possibilità di successo.  Hanno dovuto aspettare, oltre a quelli di Ceferin, gli insulti dei propri tifosi.



I media nelle sentenze della Corte Suprema americana


Il mese scorso, il giudice federale Laurence H. Silberman si è scagliato contro i media statunitensi, in particolare il New York Times, il Washington Poste il Wall Street Journal, definendoli come “fogli del Partito Democratico". Ha poi aggiunto che quasi tutta la televisione e la National Public Radio procedono nella stessa direzione. Come riporta il New York Times, il dissenso ha appoggiato un'opinione del 2019 del giudice Thomas che chiede alla Corte Suprema di riconsiderare New York Times contro Sullivan, la storica sentenza del 1964 che ha reso difficile per i funzionari pubblici vincere le cause per diffamazione. Nessun altro membro della Corte Suprema si è unito all'opinione del giudice Thomas, esortandolo a rivedere la sua posizione, e il dissenso del giudice Silberman è stato ampiamente criticato. Ma un nuovo studio, pubblicato su The North Carolina Law Review, documenta una tendenza alla negatività nei confronti della stampa sempre più diffusa nella Corte Suprema. Lo studio ha tracciato ogni riferimento ai media nelle opinioni dei giudici dal 1784 e ha trovato un marcato e precedentemente non documentato aumento nelle rappresentazioni negative della stampa da parte della Corte Suprema degli Stati Uniti. Una generazione fa, la Corte insegnava al pubblico che la stampa era un controllo sul governo, una fonte affidabile e un'entità da proteggere specialmente dalla regolamentazione. Oggi, al contrario, non parla quasi mai di essa o delle sue funzioni e, quando lo fa, lo fa in modo meno positivo. Lo studio ha inoltre scoperto che i giudici conservatori sono sempre stati più inclini a criticare stampa e che i giudici liberali ora hanno poco di buono da dire su di essa. La stampa, quindi, sembra sperimentare il doppio effetto della negatività composta dal gruppo ideologico alla Corte che è stato storicamente negativo (i giudici conservatori) e una perdita di positività dal gruppo ideologico che è stato storicamente positivo (i giudici liberali).



Perché le riviste mediche non parlano di razzismo e i suoi effetti


Parlare o scrivere di un determinato argomento lo rende reale e concreto agli occhi della società. In un recente articolo pubblicato dal Time è stata resa evidente una questione che coinvolge le riviste mediche e scientifiche accusate di non scrivere o parlare del problema del razzismo che, oggi più che mai, è diventato maggiormente visibile a causa dei frequenti episodi di crimini d’odio. Tra i crescenti appelli all'antirazzismo e all'equità sanitaria, sono emersi rapporti preoccupanti che evidenziano i modi in cui l'industria sanitaria statunitense evita persino di parlare del razzismo, per non esporsi sul tema. I dati a supporto di questioni razziali negli Stati Uniti sono tanti ma le riviste mediche, eccetto rari pezzi di opinione, non hanno mai condotto indagini scientifiche sul tema e il razzismo rimane ancora oggi una reale minaccia della società e una concreta crisi della salute pubblica. Proprio per questo è necessario che le principali riviste mediche del mondo diano un nome al razzismo, pubblichino prove su come il razzismo danneggi la salute, e, scrivendone e parlandone, aiutino a combatterlo contribuendo ad un’informazione giusta e precisa che possa prevenire e curare le disuguaglianze.



Immigrazione: come viene percepita l’Italia dai paesi europei


Come ogni anno, l’arrivo della bella stagione fa da sfondo al fenomeno dei flussi migratori nel Mediterraneo e alla loro complessa gestione. L’Italia è uno dei paesi “di frontiera” e il tema è sempre al centro degli scontri politici interni. Ma come viene percepita l’Italia dagli altri paesi europei rispetto al fenomeno dell’immigrazione? Come riportato da Formiche, il professor Antonino Vaccaro, direttore del Center for Business in Society presso lo Iese Business School, sottopone da due anni una survey informale ai partecipanti dei suoi corsi e seminari in vari paesi in cui richiede di menzionare e ordinare i sei paesi europei che hanno respinto più cittadini extra-europei nell’ultimo anno. Quest’anno, oltre l’80% dei partecipanti ha indicato l’Italia al primo posto, nonostante i dati dicano il contrario. Infatti, secondo il più recente documento dell’Eurostat relativo all’immigrazione in Europa, l’Italia risulterebbe l’ultimo paese europeo per numero di respingimenti dopo Spagna, Polonia, Francia, Ungheria e Croazia. Ci troviamo di fronte ad una distorsione della realtà che causa gravi danni reputazionali all’Italia. Basta dare un’occhiata ai numerosi articoli in lingua spagnola, francese e inglese che etichettano l’Italia come un paese xenofobo e fortemente impegnato nel respingimento degli immigrati.  Tutto questo mette in luce la necessità di affrontare seriamente la questione della disinformazione a livello nazionale e internazionale. È importante per l’Italia, ma lo è ancor di più per l’Europa.



Una chiacchierata con il Direttore del New Yorker


In un'intervista rilasciata a Repubblica il direttore del New Yorker, David Remnick, vincitore del premio Pulitzer nel 1994 per il libro “Lenin’s Tomb. The last days of the Soviet Empire”, ha riflettuto sul ruolo della carta stampata. Secondo il giornalista le grandi testate hanno ancora un'importanza fondamentale e, nonostante lo sviluppo di Internet abbia portato a un aumento esponenziale del digitale, la carta stampata non è morta.  Lo dimostra, secondo Remnick, la presidenza di Trump, in cui i giornali, con inchieste e approfondimenti sul suo operato, sono stati determinanti per la sua sconfitta nelle ultime elezioni. Talvolta il mondo liberal, come quello a cui si rivolge il New Yorker, viene accusato di essere elitario e di dimenticarsi della working class meno istruita: proprio a causa di tale mancanza il populismo di Trump in passato ha potuto ottenere risultati molto positivi. Tuttavia, Remnick ha fiducia nel lettore, sia che scelga di leggere sulla carta stampata sia sul digitale. Ciò che fa la differenza è la qualità dell'informazione, il poter contare su una squadra efficiente che sappia interpretare i cambiamenti storici, i bisogni dei lettori e l'importanza crescente dei social (il 75% degli introiti del New Yorker, infatti, deriva dagli abbonamenti e solo una minima parte dalle vendite in edicola, segnale del fatto che il modello di Remnick funziona). Solo con questi presupposti carta stampata e digitale possono convivere senza escludersi a vicenda.



Il paradosso dei Big Tech: boom di clienti, reputazione fragile


Il Corriere della Sera riporta alcuni insight di RepTrack, società internazionale che studia e monitora la reputazione delle imprese, in merito alla classifica delle cento meglio posizionate a livello globale. Considerato il boom dell’eCommerce e in generale dell’ecosistema Digital favorito dalla pandemia, la Global RepTrak 100 riserva non poche sorprese: prima fra tutte il ranking di Amazon, che nonostante un consistente aumento dei posti di lavoro (+63%) e delle vendite (36%), è scesa al 92esimo posto perdendo quasi quaranta posizioni. Un calo significativo se si considera che fino a cinque anni fa la società era stabile fra il 20esimo e il 25esimo posto. Altra sorpresa è l’assenza di Facebook, che ha totalizzato un +20% di fatturato e un +12% di utenti attivi solo nel terzo trimestre 2020, e negli ultimi 12 mesi ha quasi raddoppiato il valore in Borsa. Come spiega Michele Tesoro-Tess, executive vice president Emea & Apac di RepTrak, la creatura di Zuckerberg “sconta lo scandalo Cambridge Analytica e la sfiducia conseguente sull’utilizzo dei dati personali” - e in effetti anche la presenza di Amazon sarebbe a rischio “se non investe nel rivedere le proprie policy sulle risorse umane”. È paradossale, dunque, che imprese cosí invise ai consumatori non subiscano contraccolpi economici: ciò è dovuto, secondo Tesoro-Tess, alla mancanza di “reali alternative sul mercato”, ma le aziende dovrebbero in ogni caso riflettere sul valore di un “asset intangibile come la reputazione”.



Integrazione europea e opinione pubblica


In un editoriale pubblicato su Il Sole 24 Ore, Fabio Colasanti pone l’accento sul processo di integrazione europea da parte dell’opinione pubblica italiana (vedi Editoriale 8). Secondo Colasanti la narrazione gioca un ruolo importante, così come le richieste della commissione europa e come esse vengono accolte da governi e cittadinanza. Per quest’ultimo punto, è la storia degli ultimi anni che parla: nell’ottobre del 2008, la commissione aveva raccomandato agli stati membri di aumentare i loro disavanzi di bilancio di almeno un punto di Pil oltre a quanto provocato dagli “stabilizzatori automatici”. Nel 2009, il disavanzo di bilancio dei paesi UE è stato di 4 punti di Pil superiore a quello del 2008. Una reazione di un gruppo di paesi che si sentono parte di qualcosa, l’Unione Europea, pronta a intervenire nel caso in cui uno di questi dovesse trovarsi in difficoltà: basti osservare cosa fece per la Grecia, l’Irlanda e il Portogallo. Oggi sono state prese molte decisioni di politica economica che solo qualche anno fa sembravano impensabili, ma anche la recessione economica del 2020 ha avuto dimensioni che sembravano impensabili. Per questo, adesso si deve fare il possibile per rilanciare il tasso di crescita nel nostro Paese facendo le necessarie riforme, accompagnate da un certo tipo di narrazione.

bottom of page