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Editoriale 143

La comunicazione sui media
11 - 17 settembre

19 settembre 2023

Cambiare la narrazione sul Covid. La disinformazione secondo Kennedy. I social network influenzano davvero il nostro voto? Biden contro TikTok, trattativa riaperta. Musica e stampa, due storie da raccontare.

La Redazione


Cambiare la narrazione sul Covid


Il recente aumento dei casi di Covid ha portato con sé tutte le tristi conseguenze, tra ricoveri e no-vax, che già conosciamo. Ma, come riporta Columbia Journalism Review, rispetto alle prime notizie del 2020 (vedi Editoriale 9, Editoriale 46) la risposta dei media sembra migliore: evitare le fake news, dire onestamente ciò che si sa e ciò che non si sa, e mettere in disparte i complottisti piuttosto che metterli al centro della conversazione. Questo non si traduce nell’ignorare la disinformazione: secondo un articolo del Times, un terzo degli americani afferma di credere che i vaccini anti Covid uccidano le persone altrimenti sane; Semafor invece ha parlato di un focus group nel New Hampshire in cui diversi partecipanti hanno visto l'aumento del Covid come legato a presunti brogli elettorali dei democratici. Capire da dove nascono queste convinzioni merita una maggiore attenzione giornalistica. La vera sfida per la stampa è come continuare a coprire una storia che è diventata parte del tessuto della vita quotidiana. Riconoscere ciò che non sappiamo - e non possiamo sapere - in un momento come questo rafforzerebbe la fiducia dei lettori, anziché ridurla.



La disinformazione secondo Kennedy


Robert F. Kennedy Junior, candidato alle primarie dei democratici in vista delle elezioni presidenziali americane del 2024, è ormai diventato noto per le sue teorie complottiste sui vaccini. Secondo gli esperti che studiano la disinformazione, Kennedy comunica spesso con il linguaggio tipico dei cospirazionisti, provando a dare autorevolezza alle sue affermazioni. Il New York Times ha analizzato decine di ore di interviste al nipote di JFK, tra cui quasi 200 trascrizioni di podcast raccolte dalla Brookings Institution, un centro di ricerca di Washington, per scoprire i trucchi retorici su cui Kennedy ha spesso fatto leva. Prima di tutto, il politico utilizza il cosiddetto “data dumping”, ovvero manipola dati di studi scientifici per avvalorare le sue tesi. Un'altra tecnica, chiamata lo “scambio semantico” o “equivocazione”, messa in atto dalla retorica complottista è quella di giocare con il significato delle parole per far sembrare le proprie idee più in linea con il pensiero tradizionale. Robert F. Kennedy Jr., ad esempio, usa spesso in modo improprio il gergo medico nelle sue affermazioni anti-vaccini. Un’ulteriore strategia è quella di porsi come leader reticente, ossia dichiarare di essere il portavoce di una parte di popolazione preoccupata o insoddisfatta. E, nell’individuare il responsabile di tale scontento o di problemi più generali, di rivolgersi spesso a “loro”, un’entità non ben identificata al centro di molte teorie del complotto. E così, dal “data dumping” si passa direttamente al “webbing” in cui ogni tipo di narrazione complottista si lega ad altre teorie più ampie, che coinvolgono Bill Gates, il cambiamento climatico e il 5G. Almeno per il momento, la vittoria di Biden alle primarie sembra essere al sicuro da queste teorie.



I social network influenzano davvero il nostro voto?


A questa domanda hanno cercato di rispondere diversi studi, soprattutto dopo il 2016, l’anno segnato dalle vittorie della Brexit e di Donald Trump, senza però arrivare a delle conclusioni soddisfacenti, come per quanto riguarda un altro interrogativo, ossia se e come queste piattaforme influenzino la salute mentale. Un esempio è la ricerca, recentemente riportata da NiemanLab, la quale ha esaminato come le sponsorizzazioni e le interazioni sui social possono influenzare le opinioni delle persone su questioni politiche. Tuttavia, le cose potrebbero cambiare. Wired scrive, infatti, che a questa mancanza vuole porre rimedio Luca Braghieri, assistente professore nel dipartimento di Scienze delle Decisioni dell’Università Bocconi di Milano, grazie al progetto Some (“Social Media: Measuring Effects and Mitigating Downsides, Social media: misurare gli effetti e mitigare gli svantaggi”), tra i selezionati dal bando Erc Starting Grant da parte del Consiglio europeo della ricerca. Nell’ambito di questo programma, spiega Braghieri, giovani ricercatori e ricercatrici costruiranno studi empirici che permettano di dimostrare gli effetti concreti dei social media sul nostro comportamento politico e sulla nostra salute mentale. I problemi di molti lavori precedenti, aggiunge, sono la scoperta di correlazioni che poco ci dicono sul rapporto di causalità e sulla sottovalutazione dell’impatto dei social sul nostro comportamento politico. Inoltre, il lavoro coordinato da Braghieri intende andare a studiare il primissimo Facebook, quello creato per gli studenti dei collegi statunitensi, per stimarne l’impatto sulle preferenze politiche, valutare la propensione degli utenti a seguire pagine di maggiore qualità, il potenziale di profili che raccontano gli effetti dei social sulla nostra salute mentale e l’impatto sulla capacità cognitive e sul benessere soggettivo di bambini e bambine tra i 6 e i 12 anni.



Biden contro TikTok, trattativa riaperta


Dopo che l’amministrazione Biden aveva messo alle strette la società proprietaria di TikTok, ByteDance (vedi Editoriali 120 e 136), la Casa Bianca ha riaperto il tavolo delle trattativeallontanando così prima delle elezioni del 2024 le possibilità che l’app venga vietata. Come riportato dal Washington Post, infatti, la nuova disponibilità al dialogo evidenzia l’interesse del governo americano a non provocare una reazione pubblica contro il blocco della popolare app, riconoscendo il valore che questa riveste nel coinvolgere l’elettorato più giovane (vicino ai democratici). Le autorità statunitensi e il team di ByteDance si sono infatti incontrati la scorsa settimana per esaminare nuovamente una proposta di parziale venditaavanzata dalla società cinese per alleviare le preoccupazioni degli Stati Uniti sulla sicurezza nazionale minacciata da TikTok. Ciò garantirebbe al governo degli Stati Uniti un controllo senza precedenti che non solo prevede l’assunzione di cittadini americani ma anche lo spostamento di tutte le loro informazioni su server gestiti dal colosso USA Oracle, fattori che permetterebbero alla Casa Bianca di modellare ed influenzare l’utilizzo del social. Alcuni legislatori hanno affermato che si sta ancora lavorando su approcci alternativi per regolamentare o bloccare TikTok ma la discussione è in gran parte scomparsa dall’opinione pubblica. Girano però voci e preoccupazioni sul fatto che la ripresa dei colloqui fosse probabilmente alimentata dalla pressione politica dei cinesi al Congresso e, in vista delle elezioni, l’amministrazione Biden difficilmente si scontrerà con l’app maggiormente usata da quell’elettorato che sarà determinante per il prossimo appuntamento elettorale.



Musica e stampa, due storie da raccontare


Gannett, il più grande editore degli Stati Uniti, è tornata di nuovo protagonista. È notizia di pochi giorni fa la sua pubblicazione di due offerte di lavoro molto particolari: si cercano due giornalisti che si occupino specificatamente di Taylor Swift e di Beyoncé, per cogliere e raccontare il significato della loro musica e l’impatto che le cantanti stanno avendo sul mondo. La figura che si occuperà di Swift dovrà analizzare cosa rappresenta la pop star per la sua fanbase e perché la sua popolarità continua a crescere. Chi scriverà di Beyoncé, invece, dovrà capire perché la cantante ha un impatto così potente su diverse generazioni plasmando in parte il pensiero delle donne di tutto il mondo. Che le due artiste stiano riscontrando un successo mondiale è innegabile, entrambe sono attualmente impegnate in tournée mondiali da miliardi di dollari e i fan sono disposti a spendere cifre considerevoli per riuscire a vederle dal vivo. Il fatto, quindi, che alcuni giornali americani si stiano attrezzando per scrivere in modo approfondito di queste due artiste può essere una mossa intelligente perché la loro musica è parte dell’attualità che i media dovrebbero raccontare e spiegare al grande pubblico, e anche perché sono argomenti di grande interesse per una buona fetta di americani e non solo. Non sono mancate, spiega il New York Times, le critiche di alcuni giornalisti che si sono detti preoccupati dalle scelte editoriali di Gannett, considerato che lo scorso dicembre la società aveva tagliato il 6% dei posti di lavoro e che investire in questo settore può togliere risorse all’informazione locale già in sofferenza in tutto il Paese. Gannett, intanto, ha assunto da marzo 225 giornalisti e conta ancora 100 ruoli vacanti, due dei quali su fenomeni culturali e sociali come Swift e Beyoncé.

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