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Editoriale 14

La settimana sui media
14 - 20 dicembre

22 dicembre 2020

Da Wuhan al mondo: la propaganda cinese alla prova. Bastava una telefonata a Mosca. L’ipercomunicazione di Conte. Brand reputation e minoranza etniche: il caso di Netflix e Twitter. Pandemia e influencer: uno studio.

La Redazione

· Bot, fake news e censura: così la Cina ha manovrato la propaganda sul coronavirus per preservare il ruolo di egemone emergente nella guerra globale della reputazione.  Una campagna senza precedenti portata alla luce dall’inchiesta di ProPublica e New York Times che hanno avuto accesso a migliaia di documenti riservati inviati dall’Amministrazione cinese per il cyberspazio ai dipendenti della propaganda e agli organi di stampa. Dalla morte del medico di Wuhan che per primo suonò l’allarme, i funzionari cinesi hanno realizzato un’enorme campagna per mantenere il controllo della situazione. Un “apparato capace di costruire una narrativa e puntarla su qualsiasi obbiettivo su vasta scala”, “qualcosa di enorme che nessun altro Paese ha”, sostiene Xiao Qiang, ricercatore presso la School of Information dell’Università della California di Berkeley e fondatore di China Digital Times. Una campagna di questo genere ha comportato un ingente utilizzo di risorse e tecnologia, il coinvolgimento di un gran numero di persone e il rigido monitoraggio dei media (tradizionali, ma soprattutto digitali). Nonostante l’enorme sforzo, sembra che il Dragone non abbia ancora raggiunto il suo obiettivo: salvaguardare la propria reputazione (vedi Editoriale 4).


· La telefonata di Navalny all’agente e chimico russo Konstantin Kudrjavtsev dimostra la responsabilità del regime di Putin nel fallito omicidio dell’oppositore. Ma, secondo le agenzie di contrasto alla propaganda dell’Unione Europea, la Russia si è specializzata anche in metodi meno cruenti e più subdoli. Linkiesta racconta che, in base alle ricerche effettuate e ai dati raccolti, Mosca risulta la fonte di disinformazione più attiva e preoccupante per gli interessi dei paesi europei, verso i quali il Cremlino ha cercato di interferire attraverso la diffusione di contenuti anti-UE. Anche Facebook ha comunicato di aver già contrastato intense attività di disinformazione rimuovendo tre “network indipendenti” che promuovevano gli interessi di Mosca, attraverso informazioni false e attività di trolling al fine di alterare la percezione pubblica della realtà a proprio vantaggio su temi sensibili quali la pandemia, le recenti elezioni Usa e la situazione in Libia. Ma è bastato uno scherzo telefonico su Youtube per mandare all’aria tutto.


· Quanto pesa oggi la comunicazione politica? Wired ha intervistato Antonio Palmieri per far luce sugli errori commessi dalle istituzioni nel comunicare un periodo così delicato. Lo storico responsabile della comunicazione di Forza Italia punta il dito contro premier italiano per aver comunicato essenzialmente sè stesso, definendo quella di Conte una “ipercomunicazione”. Con tono accusatorio, Palmieri sostiene che la politica italiana non abbia tratto alcun insegnamento, in termini di comunicazione, dalla pandemia. La comunicazione di crisi prevede preparazione, prevenzione, monitoraggio e proattività, tutti ingredienti che, alla luce dei fatti, sembrano essere mancati alla comunicazione del governo. Un buon politico non è per forza un gran comunicatore: il primo avrà sempre bisogno del secondo, con l’augurio che negli anni possa imparare la lezione.


· Importanti aziende come Netflix e Twitter hanno iniziato a trasferire denaro contante in banche di proprietà dei neri come simbolo di supporto alla parità razziale. I benefici economici di queste operazioni per le comunità nere sono significativi. Secondo una recente indagine condotta dall’Harvard Business Review, i consumatori in generale apprezzano le aziende che hanno aderito al movimento “justice deposits”. Questo tipo di capitalismo consapevole è ancora più importante tra le generazioni più giovani che chiedono sempre più insistentemente ai brand di impegnarsi sul fronte sociale. Per loro infatti è importante dialogare con aziende responsabili a livello ambientale e sociale. Come osservato dall'HBR, il 60% degli intervistati ha dichiarato che il modo in cui un brand affronta le proteste razziali incide e inciderà sull'acquisto o sul boicottaggio di tale brand. La stessa percentuale ha aggiunto che le aziende dovrebbero prendere provvedimenti per affrontare le cause della disuguaglianza razziale alla radice. Questo sembra un chiaro segnale che, per conquistare i consumatori più giovani, le aziende devono essere attente alle questioni sociali e agire in modo appropriato.


· Durante la pandemia i brand, per cercare un contatto diretto con il proprio target di riferimento, hanno puntato sull’Influencer Marketing, incrementato quindi le risorse da destinare a questo tipo di attività. Secondo l'Osservatorio Influencer Marketing, nato dalla collaborazione tra Ipsos e FLU, a seguito dell’emergenza sanitaria, gli utenti hanno riconosciuto agli influencer il merito di aver avuto un ruolo sociale grazie alle informazioni e ai consigli che hanno dato sui comportamenti da tenere per affrontare le criticità del momento e alla capacità che hanno avuto di dare vita o di promuovere iniziative benefiche. Al tempo stesso, gli utenti hanno riconosciuto agli influencer il merito di aver suggerito attività/prodotti di loro interesse per poter occupare il tempo da trascorrere chiusi in casa. Questo tipo di pubblicità però, è ancora poco regolamentata. Non esiste infatti una normativa unica e nazionale che fornisca in modo dettagliato delle linee guida relativamente a questo campo d’azione. Ad oggi qualsiasi collaborazione con un’azienda/brand per la creazione di un contenuto, che ha come obiettivo l’accreditamento da parte di un influencer di un prodotto/servizio/esperienza, dev’essere palesata e la comunicazione dev’essere esplicitamente dichiarata. #ADV è stata scelta come formula convenzionali per identificare una collaborazione. Siamo sicuri che sia sufficiente un semplice # per sapere se siamo di fronte ad un contenuto sponsorizzato o ad una valutazione oggettiva, corretta e responsabile? Diversi studi hanno già dimostrato l’efficacia del product placement ma, nonostante le evidenze, la strada per una corretta disciplina rimane ancora in salita.

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