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Editoriale 138

La comunicazione sui media
03 - 09 luglio

11 luglio 2023

Labour e quarto potere. Sfide climatiche nel metaverso. Prendere una posizione. Attacco a Twitter. Verso la disinformazione 2024. Come i media dovrebbero coprire la Corte Suprema.

La Redazione


Labour e quarto potere


I laburisti si preparano a governare il Regno Unito, e le prove generali passano anche per i media. Lo riporta il Guardian parlando della partecipazione del leader del partito Keir Starmer alla festa di mezza estate organizzata a Spencer House da Rupert Murdoch – non il primo incontro, dicono i bene informati, tra il politico e il magnate – e dei suoi collaboratori più stretti a quella dello Spectator, dove hanno l’attenzione più dei Tories. L’interesse dei media verso il Partito Laburista è evidente, alla luce dei sondaggi che lo vedono favorito, e gli esponenti di quest’ultimo stanno cercando di gestirlo e massimizzare le opportunità che ne derivano. Aspettative molto alte che, però, portano con sé anche molto nervosismo: in particolare, Morgan McSweeney, direttore della campagna Labour, sta studiando le sfide elettorali dove il partito dato per favorito ha perso e invitando tutti a mantenere i piedi per terra. Nel frattempo, comunque, i consiglieri più giovani stanno iniziando la “preparazione per il governo”, con ex membri degli staff dei ministri in cattedra, e il partito deve preparare un programma politico che si concentri sulla decadenza dei servizi pubblici dopo oltre un decennio di governi conservatori, in un momento di scarsa crescita economica e di inflazione e tassi di interesse che non accennano a diminuire. Uno scenario, quest’ultimo, che si prospetta insidioso anche dopo un’eventuale vittoria, perché con poche risorse le soluzioni a molti problemi presentati in campagna elettorale dovrebbero essere molto probabilmente riviste o rimandate. Gli elettori, infatti, vogliono sì un cambiamento, ma anche responsabilità. Ed è su questa falsariga che i laburisti si stanno preparando al prossimo autunno, una nuova fase della corsa a Westminster dove anche i media faranno la propria parte.



Sfide climatiche nel metaverso


Non solo giochi e mondo virtuale alternativo. Il metaverso può essere parte integrante di una strategia aziendale atta a rendere le aziende più efficienti dal punto di vista energetico, riducendo le emissioni. Nokia è il precursore di questo cosiddetto “metaverso industriale”, un’intersezione di digitalizzazione e lotta al cambiamento climatico, ma non è la sola. Come riporta il Time, molte altre multinazionali sono desiderose di trovare metodi per abbattere i costi energetici e, secondo l’analisi pubblicata lo scorso anno dalla società di consulenza Accenture, le possibilità di trovare un modo per riuscirci sono concrete: le tecnologie digitali potrebbero ridurre rapidamente le emissioni nei settori dell'energia, dei materiali e della mobilità fino al 10%. La digitalizzazione legata al metaverso può ridurre sprechi e costi operativi ma bisogna tener presenti anche i risvolti negativi: queste tecnologie aziendali lasciano loro stesse un’impronta sull’ambiente e si parla dell'1% delle emissioni globali. L'intelligenza artificiale, essenziale per programmi come il metaverso industriale, richiede energia e, secondo un documento dei ricercatori dell'Università del Massachusetts, la creazione di un singolo modello di intelligenza artificiale può portare a emissioni equivalenti a quelle di una vita di cinque auto. Rimane il fatto che per le aziende ora sia una sfida l’utilizzo del digitale per abbattere i costi energetici. La questione climatica è ormai integrata nel business: un modello di consumo più efficiente incrementa l’attrattività dell’azienda che lo applica, aumentandone le prospettive di crescita.



Prendere una posizione


Gli effetti del boicottaggio di Bud Light, scaturito dalla collaborazione con l'influencer transgender Dylan Mulvaney, si manifestano ormai da tre mesi. Come riporta Axios, la “rivolta” è dovuta in gran parte al disallineamento del marchio con i consumatori chiave e all’insufficiente risposta dell’azienda. Questo genere di boicottaggi, tuttavia, spesso viene contrastato dal buycott, un movimento in cui i consumatori fanno di tutto per supportare le aziende che prendono una posizione che condividono. È successo al CEO di Goya Foods, che appoggiò Donald Trump andando contro una parte sostanziale della base di consumatori latino-americani: grazie allo sforzo dei sostenitori dell’ex Presidente americano, in due settimane le vendite sono aumentate del 56,4% nelle aree repubblicane. Per Bud Light questo non è accaduto, perché la dichiarazione del CEO di Anheuser-Busch sembrava voler essere a favore di entrambe le parti, senza prendere una posizione netta. Secondo Daniel Diermeier, rettore della Vanderbilt University ed esperto di management, la chiave per le aziende è conoscere i propri stakeholder ed essere consapevoli di come anche la minima azione possa metterle al centro di battaglie culturali e costare miliardi. I team di comunicazione devono, dunque, essere in grado di percepire quali tematiche possano generare criticità e quali no. Un modo per farlo, secondo il presidente di Penta Group Matt McDonald, è monitorare costantemente ogni campagna. Ogni candidato alle politiche studia la propria base politica e così dovrebbero fare le aziende – l’ascolto e l’interpretazione delle conversazioni su Internet metterebbero le organizzazioni al riparo da crisi che sarebbero diversamente evitabili.



Attacco a Twitter


Un decennio fa Twitter è salito alla ribalta proponendosi come “global town square”, uno spazio in cui chiunque poteva raggiungere milioni di persone in breve tempo. La piattaforma dell’uccellino blu è stata infatti fondamentale per i grandi movimenti sociali, come le proteste della Primavera araba in Medio Oriente e le proteste di Black Lives Matter contro la violenza della polizia negli USA. In una recente lettera al personale, la CEO di Twitter Linda Yaccarino, ha ribadito questa identità, definendo la piattaforma “a global town square for communication”. Ma, come scrive Taylor Lorenz su The Washington Post, Twitter non svolge più questa funzione. A causa di una serie di passi falsi compiuti dal nuovo proprietario Elon Musk (vedi Editoriale 109,  Editoriale 117, Editoriale 125) culminati nella decisione nei giorni scorsi di limitare il numero di tweet che gli utenti possono leggere, Twitter sta perdendo utenti e rilevanza. Alcune delle sue difficoltà sono risalgono al pre-Musk. Da anni l'azienda sta perdendo celebrità e figure di alto profilo nel mondo dello spettacolo e dei media, e non riesce a trattenere gli utenti più giovani. Il problema principale di Twitter è che si tratta di un social network tradizionale basato sui follower, a differenza di un'app come TikTok che mostra contenuti attraverso un algoritmo molto sofisticato. Ciò significa che anche un utente con zero follower su TikTok può raggiungere milioni di persone con il suo primo video. Per molto tempo Twitter è stata la piattaforma preferita dai politici per diffondere il proprio messaggio e raggiungere gli elettori (vedi il caso della candidatura di DeSantis). Oggi, tra le acrobazie e la spinta conservatrice del nuovo proprietario, e Threads (100 milioni di utenti in 5 giorni), l’uccellino blu si sente sempre più in gabbia.



Verso la disinformazione 2024


Sta facendo molto discutere la decisione di Youtube di cambiare la propria policy sulla disinformazione nell’ambito delle elezioni americane del 2024: la piattaforma, infatti, non eliminerà più i contenuti al fine di promuovere un dibattito politico aperto. Come ha sottolineato Poynter, si riaccende il dibattito sul difficile equilibrio tra la lotta alle fake news da una parte e la libertà di espressione dall’altra (vedi Editoriale 133). Altri social network potrebbero inoltre seguire l’esempio di YouTube e provocare una diffusione incontrollata di informazioni non verificate. PolitiFact, un sito di fact-checker, ha esaminato lo stato delle politiche sulla disinformazione elettorale di YouTube, Twitter, TikTok e Meta, al fine di restituire un quadro completo della situazione. Dalla ricerca è emerso che YouTube ha ancora un ruolo chiave nell’ecosistema delle informazioni. Nel 2020, il suo duro approccio nei confronti delle fake news aveva infatti prodotto effetti positivi su tutti gli altri social network. Oggi, la sua nuova politica, ancora non ben delineata, rischia di compromettere tale risultato. L'approccio di Twitter alla disinformazione è cambiato dopo l'acquisizione nel 2022 da parte di Elon Musk (vedi Editoriale 80), che si definisce un sostenitore della libertà di parola, ma che ha notevolmente ridotto la forza lavoro responsabile della verifica delle notizie. Le linee guida dicono che le persone non possono usare Twitter per manipolare o interferire con le elezioni e che i post contenenti fake news possono essere segnalati usando la funzione delle community notes. La politica elettorale di TikTok combatte la disinformazione in tre modi: rimuovendo i contenuti, re-indirizzando i risultati della ricerca e riducendo la visibilità. TikTok ha inoltre stretto una partnership con 15 organizzazioni globali di fact-checking, tra cui PolitiFact. Nonostante questo la piattaforma ha ancora diversi problemi a gestire le fake news “politiche” (vedi Editoriale 132). Meta ha dichiarato che proibirà le pubblicità che incoraggiano le persone a non votare o che mettono in dubbio la legittimità del risultato elettorale. Negli Stati Uniti, 11 organizzazioni di fact-checking sono partner di Meta. I post etichettati come disinformazione vengono resi meno visibili nei feed degli utenti. Il programma di fact-checking, tuttavia, non si applica ai politici attivi, compreso Trump. Come Twitter, negli ultimi mesi Meta ha ridotto significativamente il personale addetto a contrastare la disinformazione (vedi Editoriale 127). Che cosa bisogna aspettarsi per le elezioni del 2024? Secondo alcuni studiosi la mossa di YouTube potrebbe essere parte di un più ampio cambiamento culturale che si allontana dalla regolamentazione della disinformazione, e favorisce fattori di mercato: è ormai noto che il traffico di utenti aumenti con la diffusione di fake news (vedi Editoriale 129). Quello che sembra certo è che sarà ancora più difficile limitare le notizie false e individuare le voci autorevoli.



Come i media dovrebbero coprire la Corte Suprema


Nel settembre 2016 Lorie Smith, una web designer del Colorado, si rivolse al tribunale per ottenere un’ordinanza che le permettesse di non fornire i suoi servizi, per gli annunci di matrimonio alle coppie omosessuali, senza incorrere in problemi legali derivanti dalla legge anti-discriminazioni del Colorado. La richiesta fu respinta da un tribunale federale di Denver, il che spinse Smith ad appellarsi alla Corte Suprema che, qualche settimana fa, ha ribaltato la decisione sostenendo che la legge del Colorado limita i diritti derivanti dal Primo Emendamento (libertà di espressione). Come riporta Colombia Journalism Review, prima della decisione della Corte, il caso non aveva ricevuto nessuna copertura mediatica fin quando una giornalista di New Republic, Melissa Gira Grant, non individuò alcune informazioni false. Informazioni riprese dalla maggior parte dei media che tuttavia non hanno minimamente influenzato l’esito del processo. Lo scoop di Grant si colloca in un dibattito più ampio su come i giornalisti dovrebbero coprire le attività della Corte. Tale copertura si traduce principalmente in una questione di equilibrio, di cultura e di tono. Probabilmente, la soluzione ideale sarebbe non trattare la Corte come avviene oggi per il Congresso, ossia con ricostruzioni superficiali che vanno al di sopra della sostanza legislativa.

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