Editoriale 65
La comunicazione sui media
03 - 09 gennaio
11 gennaio 2022
La scienza perduta in Usa e il rifiuto dell’incertezza. La Russia senza passato. Biden, guai ai vinti. Immigrazione e sarcasmo.
La Redazione
La scienza perduta in Usa
I Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) hanno modificato di recente le raccomandazioni in merito alla quarantena per il Covid-19. Quelli che originariamente erano 10 giorni di isolamento dopo il contatto con qualcuno risultato positivo si sono trasformati in cinque giorni. La modifica, come spiegato da Scientific American, sembra essere frutto di importanti pressioni da parte della comunità imprenditoriale piuttosto che da quella scientifica e questo dà luogo a una comunicazione fuorviante sul virus. In America sta crescendo una sfiducia profonda nei confronti della scienza e delle istituzioni sanitarie. Durante il corso della pandemia, si è visto come i messaggi incoerenti sul Covid abbiano aumentato i dubbi, lasciando il posto alla disinformazione in tutta la comunità americana. Questo ha impedito di attuare politiche basate sui dati. In questo momento si sta entrando nel terzo anno di una guerra di malattie infettive che ha ucciso oltre 800.000 americani. Nel frattempo, le persone non vengono ancora vaccinate, i leader del governo stanno contraendo le nuove varianti del Covid e la forza lavoro americana è paralizzata a causa dell'aumento esponenziale dei casi positivi. Il superamento della pandemia risiede in parte nel ripristinare la fiducia nelle istituzioni scientifiche attraverso un miglioramento della comunicazione. I leader delle agenzie governative e del settore pubblico dovrebbero innanzitutto creare un sistema di risposta rapida che valuti i dati più recenti sul Covid e fornisca velocemente un feedback in modo da creare messaggi coerenti. In questa fase, è importante anche coinvolgere gli operatori sanitari, i più vicini alla lotta contro il virus. Gli errori possono capitare, ma durante una crisi in cui il panorama cambia quotidianamente, la strategia e l'approccio nel modo in cui si comunica il messaggio sono importanti tanto quanto avere l'idea giusta.
Il rifiuto dell’incertezza
Come riportato dal Post, la frustrazione causata dalla variante Omicron e dall’aumento dei contagi è stata amplificata dai media, alla costante ricerca di conclusioni certe e incapaci di accettare l’incertezza di questo periodo. La tendenza è di cercare di escludere quest’ultima dalle descrizioni degli eventi nel tentativo di renderle più chiare e comprensibili, ma è anche espressione di alcune forme di giornalismo che fanno della narrazione uno dei principali strumenti di riduzione e semplificazione delle complessità. Nella comunicazione scientifica, dove un certo grado di incertezza fa parte di ciò che si vuole comunicare, è controproducente provare a raccontare gli eventi secondo schemi e modelli narrativi, raccontando storie che abbiano un inizio, uno sviluppo e una fine. Lo ha osservato Kathleen Parker, giornalista del Washington Post e premio Pulitzer nel 2010, dopo l’analisi di un pezzo sulla pandemia da lei scritto a maggio 2021 in cui celebrava un abbraccio a lungo rimandato con amici e amiche e in cui dichiarava la fine dell’uso della mascherina. Delle tendenze che rischiano di far perdere credibilità al giornalismo scientifico ha parlato anche Cameron English, scrittore e giornalista scientifico americano, il quale ha individuato la tendenza di una parte di giornalismo a riportare conclusioni e descriverle come inconfutabili laddove non siano disponibili tutti i dati. English ha individuato, inoltre, il problema della costruzione di false dicotomie nei dibattiti e la mancanza di sfumature nella descrizione dei fenomeni – sfumature che, soprattutto in ambito scientifico, esistono. La pandemia ha indubbiamente messo a nudo la non accettazione dell’incertezza, della formazione di un’idea e del raggiungimento delle conclusioni attraverso step, che sono caratteristiche intrinseche della scienza. Probabilmente, la comunicazione scientifica dovrebbe, invece, abbracciare una tendenza che accetti l’incertezza e, perché no, anche quel margine di errore caratteristico del progresso scientifico.
La Russia senza passato
Negli ultimi giorni del 2021, i governi russo e cinese hanno entrambi intrapreso azioni per censurare la discussione sulla storia dei loro paesi. In entrambi i casi, la decisione di “controllare il passato” manda un segnale deprimente sul futuro. Secondo quanto riporta il Financial Times, la Corte Suprema della Russia ha chiuso Memorial, un'organizzazione fondata negli ultimi anni dell'Unione Sovietica per registrare e preservare la memoria delle vittime dello stalinismo. A Hong Kong, le università locali si sono inchinate al governo centrale cinese - rimuovendo dai campus le statue che commemorano il massacro di piazza Tiananmen del 1989. La chiusura di Memorial sembra un punto di svolta per la storia della Russia, un paese che, fino a poco tempo fa, ha permesso molta più latitudine al dissenso politico rispetto alla Cina. Gli oppositori di Putin hanno manifestato in massa nelle strade nel 2012, nel 2019 e nel 2021. Quel tipo di critica aperta a Xi è stata a lungo inconcepibile nella Cina continentale. Anche il trattamento della storia è stato diverso. Un ritratto di Mao Zedong, leader della rivoluzione comunista cinese, si affaccia su piazza Tienanmen e le sue statue si trovano nei campus di Pechino e Shanghai. Ma per vedere una statua di Stalin a Mosca è necessario visitare il parco dei Monumenti Caduti, dove si trova una testa di pietra mozzata dell'ex dittatore sovietico. Gli studiosi in Russia vedono la chiusura di Memorial come una mossa che raggiunge i livelli cinesi di censura e controllo. Sia Putin che Xi hanno progettato cambiamenti nelle costituzioni dei loro paesi che permetteranno loro di governare incontrastati (vedi Editoriale 56) e a lungo nel futuro. Se Putin rimane al Cremlino fino al 2036, cosa che ora sembra decisamente possibile, avrà governato più a lungo dello stesso Stalin. Se intende emulare Stalin, perché permettere le critiche nei suoi confronti? Sembra proprio che in tema di disinformazione e censura Russia e Cina vadano a braccetto (vedi Editoriale 64).
Biden, guai ai vinti
Ad un anno esatto dal tentativo di presa del Campidoglio, il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha tenuto un discorso alla nazione. Parlando dalla Statuary Hall, Biden non ha risparmiato parole sull'uomo che ha battuto nelle elezioni del 2020, Donald Trump: “Non può accettare di aver perso - ha affermato - Non è solo l'ex presidente, ma è l'ex presidente sconfitto. Non si può amare il proprio paese solo quando si vince”. Pur non essendoci state nuove, particolari rivelazioni da parte di Biden e del vicepresidente Harris sugli eventi del 6 gennaio, secondo The Washington Post il presidente ha fatto riferimento a Trump quale mandante di quella insurrezione (vedi Editoriale 54). Cosa che non è assolutamente passata inosservata, considerato che Trump ha poi sostenuto che Biden lo abbia usato “per cercare di dividere ulteriormente l'America"”. In tutto ciò, per Harris la data del 6 gennaio 2021 “riecheggerà nella storia” come il 7 dicembre 1941, attacco giapponese a Pearl Harbor, e l'11 settembre 2001, attacchi terroristici al World Trade Center e al Pentagono. Per la Vicepresidente, infatti, la rivolta del Campidoglio ha mostrato “come sarebbe la nostra nazione se le forze che cercano di smantellare la nostra democrazia avessero successo”. Secondo alcuni critici, la durezza delle parole dell’inquilino della Casa Bianca vorrebbe mascherare le recenti critiche all’attuale amministrazione, specialmente rivolte alla gestione della pandemia.
Immigrazione e sarcasmo
Jamal Simmons, il nuovo direttore delle comunicazioni della vicepresidente statunitense Kamala Harris, ha recentemente ritenuto opportuno, dato il suo incarico, contestualizzare alcuni tweet da lui pubblicati nel 2010, in cui si polemizzava circa il fatto che alcuni immigrati avevano impunemente ammesso in televisione di non essere muniti dei documenti necessari per risiedere sul territorio americano, senza alcun intervento delle forze dell’ordine. Come spiegato in un articolo del Washington Post, Simmons si è scusato per un messaggio fraintendibile in quanto sarcastico: il tweet in considerazione intendeva infatti presentare una critica alla mancanza di ripercussioni a fronte di un’ammissione in televisione di una violazione legislativa, certo non un endorsement a politiche migratorie conservatrici. Collaboratore di lunga data del partito democratico sin dalla campagna di Bill Clinton del 1992, Simmons ha affermato di essere da tempo sostenitore di una riforma dell’immigrazione per valorizzare la multietnicità della democrazia statunitense. In tal senso, un portavoce della vicepresidente ha citato un tweet di sostegno dell'attivista per i diritti degli immigrati Jose Antonio Vargas che invitava a non lasciarsi ingannare dalla “macchina dell’oltraggio” guidata dall’ex consigliere di Trump Stephen Miller, intenzionato a screditare i propositi di Jamal Simmons.