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Editoriale 53

La comunicazione sui media
11 - 17 ottobre

19 ottobre 2021

Squid Game, l’espressione del soft power sudcoreano. I media statunitensi devono svegliarsi. Dietro le quinte nelle elezioni di Roma. Michael Roth e il collegamento tra fake news russe e populismi. Anche LinkedIn saluta (parzialmente) la Cina. La super propaganda in Corea del Nord.

La Redazione


Squid Game, l’espressione del soft power sudcoreano


Sull’onda della critica del sistema capitalistico mescolata al suo fascino, la serie tv sudcoreana Squid Game ha spopolato su Netflix in tutto il mondo. Il crudele “gioco del calamaro”, in cui i personaggi irrimediabilmente indebitati sono chiamati “volontariamente” a prendere parte, scommettendo la propria stessa vita, non è riducibile, tuttavia, a una mera denuncia delle disuguaglianze della popolazione in Corea del Sud. È anche un invito a superarsi, secondo un articolo di Internazionale, a mettere alla prova i propri limiti, e in questo risiederebbe l’estetica che ha condotto la serie al (non immediato e, anzi, faticato) successo sella serie. La ricetta vincente è l’unione di due ingredienti: da un lato la forza dell’industria culturale coreana, il paese più connesso al mondo e gigante del soft power, soprattutto se confrontato alla vicina e chiusissima Cina; dall’altro, la forza di Netflix come ormai irrinunciabile piattaforma streaming. Il successo della serie coreana è al contempo simbolo dei mutamenti geopolitici in atto, collettore di sensibilità sociali internazionali e, presumibilmente, presagio del nuovo ruolo che nella cultura popolare mondiale continuerà ad avere il paese inventore del K-pop.


I media statunitensi devono svegliarsi


È giunto il momento che i media americani si rendano conto che il tentativo di “colpo di stato” del 6 gennaio è il sintomo di una crisi costituzionale in atto. L’opinione di Jennifer Rubin per il Washington Post è chiara: la copertura dei notiziari televisivi tradizionali è stata in gran parte tiepida nel raccontare l'intera vicenda e spesso i media ne hanno ignorato i principali sviluppi. “Questo non fa altro che normalizzare il comportamento illegale e antidemocratico di Trump, anche se è pronto a candidarsi di nuovo alla presidenza”, come sostiene il critico Eric Boehlert. I media devono schierarsi dalla parte della democrazia e ricordare che essere obiettivi non significa necessariamente far sembrare meno folli e pericolosi i repubblicani. Come? Innanzitutto dovrebbero intervistare ogni repubblicano sul tentativo di colpo di stato e sulla minaccia di screditare le elezioni (il senatore repubblicano Charles E. Grassley dell’Iowa ad agosto aveva difeso il complotto di Trump per ribaltare le elezioni).  Inoltre devono iniziare a dare notizia dei tentativi di sovvertire le elezioni in tutto il paese con la serietà che meritano. Anche la Casa Bianca dovrebbe adottare lo stesso atteggiamento in modo che i media non perdano interesse. Ciò che si augura Rubin è che i media capiscano che hanno un ruolo fondamentale nell’informare il pubblico sulle manovre in atto per rovesciare la democrazia. Sarebbe un grave errore ignorare i legami tra le nuove leggi contro le elezioni e la minaccia di futuri colpi di stato.



Dietro le quinte nelle elezioni di Roma


Amici nella vita, avversari sul campo. Giovanni Diamanti e Luigi Di Gregorio sono i due strateghi della campagna elettorale rispettivamente di Roberto Gualtieri ed Enrico Michetti che hanno raccontato a Formiche il dietro le quindi della corsa al Campidoglio. Oggi i politici sembrano essere in continua propaganda, anche il silenzio pre-elezioni non esiste più grazie ai social e il grande strumento strategico preferito in politica è adesso la comunicazione piuttosto che l’azione. Nel caso delle elezioni del Sindaco di Roma è stato necessario individuare tutte quelle tematiche, parole e attività che più ha a cuore la città e i suoi abitanti cercando da questo di creare un racconto convincente su cui fondare la reputazione e l’immagine del candidato. In entrambi i casi i due strateghi hanno detto che la comunicazione politica dipende dalla realtà in cui ci si inserisce e dal politico che si rappresenta. I due politici sono figure diverse tra loro: da una parte Gualtieri forte della sua ampia esperienza politica e dall’altra Michetti ancora alle prime armi che ha cercato di fare della sua inesperienza il suo punto di forza. Entrambi si caratterizzano per due stili comunicativi diversi: il primo cerca di essere sempre rassicurante e poco polarizzante mentre il secondo cerca di creare vicinanza e fidelizzare gli elettori. Oggi sappiamo com’è andata a finire per le elezioni a Roma e certamente l’esperienza e l’aver saputo controllare la percezione della propria immagine e di quella dell’avversario ha ben pagato.



Michael Roth e il collegamento tra fake news russe e populismi


Michael Roth, ministro tedesco per gli Affari europei, ritiene che dietro l'attacco alla Cgil di neofascisti e No Vax ci sia una trama nera internazionale che affonda le sue radici anche nella propaganda russa. Intervistato da Repubblica, sottolinea che ci si debba preoccupare davanti ad episodi come l’assalto alla sede della Cgil da parte di neofascisti e no-vax, perché dimostrano che nazionalismi e populismi non sono stati sconfitti. Sull'inerzia della pandemia, le forze antidemocratiche stanno cercando di sfruttare le preoccupazioni della gente attraverso fake news e complottismi – non solo in Italia – e il collegamento con la disinformazione russa è molto forte. È necessario difendere meglio le democrazie e l'Ue deve intraprendere questa battaglia con forza ogni volta che lo Stato di diritto e i nostri valori fondamentali sono sotto attacco.  Il ministro tedesco ha affrontato anche il fatto che, in Polonia, la Corte Costituzionale abbia dichiarato invalida una parte dei trattati europei, ritenendolo un fatto gravissimo e lesivo dei valori dell’Unione. Forze populiste si agitano in tutta Europa e, per Michael Roth, non basta sottolineare la precedenza del diritto comunitario su quello nazionale, ma è necessario premere sul fatto che è nell'interesse dei cittadini se l'Europa diventa forte. Molte persone vengono ammaliate dagli slogan nazionalisti perché hanno l'impressione che l'Europa non le protegga sufficientemente dalla povertà, dall'esclusione o da una grave pandemia che è costata molte vite. Ed è questo il terreno sul quale l’Ue deve lavorare, quello della fiducia nelle sue istituzioni da parte dei cittadini.



Anche LinkedIn saluta (parzialmente) la Cina


LinkedIn ha annunciato la chiusura del suo servizio di rete professionale in Cina a causa di un ambiente significativamente più impegnativo e con maggiori requisiti di conformità rispetto agli altri paesi, in una mossa che completa la frattura tra i social network americani e la Cina. LinkedIn, che è di proprietà di Microsoft, ha detto però che offrirà una nuova applicazione per il mercato cinese focalizzata esclusivamente sugli annunci di lavoro. Non avrà funzioni di social networking come la condivisione di post e commenti, che sono stati fondamentali per il successo della stessa piattaforma negli Stati Uniti e altrove. L'azione di LinkedIn termina quello che era stato uno degli esperimenti di più ampia portata di un social network straniero in Cina, dove internet è strettamente controllato dal governo. Twitter e Facebook sono stati bloccati nel paese per anni, e Google ha lasciato più di un decennio fa. Il caso di LinkedIn è anomalo perché è la piattaforma che ha resistito più a lungo nel paese del Sol Levante, ma ha anche accettato di censurare molti post dei suoi milioni di utenti in conformità con le leggi cinesi, qualcosa che altre aziende americane erano spesso riluttanti o incapaci di fare. Proprio per questo motivo la piattaforma è stata criticata dagli USA di fare i propri interessi economici a scapito della libertà di parola (la Cina è uno dei più grandi mercati di LinkedIn, con 54 milioni di utenti, dietro solo agli Stati Uniti e all'India). Resta poco chiaro cosa accadrà precisamente ai milioni di account di utenti cinesi su LinkedIn.



La super propaganda in Corea del Nord


La Corea del Nord, come riporta un pezzo del New York Times, annovera armi potenti. Tra queste, testate nucleari, missili balistici intercontinentali e missili ipersonici - certo -, ma anche il coraggio dei suoi soldati; infatti, i soldati coreani sono da sempre addestrati a fare e sopportare l’impensabile. "Se il nemico osa invadere la nostra terra - ha recentemente affermato una annunciatrice nella trasmissione della TV di stato del Nord -, questi soldati si trasformeranno in pugni di ferro e in mostri fulminei per proteggere la pace della madrepatria" (vedi Editoriale 37). Un messaggio chiaro, trasmesso di giorno in giorno anche dal leader della Corea del Nord, Kim Jong-un, che lo fa amplificare in ogni libro, film e opera d'arte prodotta nel paese. Non solo: nei giochi di massa di Arirang, migliaia di scolari e soldati meticolosamente addestrati devono eseguire danze sincronizzate mentre pubblicizzano slogan di fedeltà al signor Kim.

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