Editoriale 45
La comunicazione sui media
19 - 25 luglio
27 luglio 2021
Giustizia e propaganda. Licenza di spiare. Il medico delle fake news tra Green pass e scetticismo. Bolsonaro indossa il camice.
La Redazione
Giustizia e propaganda
Il Foglio sottolinea come il baraccone dell’antimafia retorica si sia mobiliato contro la riforma della giustizia, ribattezzata dall’organo di propaganda “Salvamafia”, che garantirà l’impunità per i mafiosi. Sono diverse le personalità del mondo della giustizia che hanno espresso al riguardo il loro parere. Un magistrato come Nicola Gratteri, ad esempio, ha sottolineato al Domani come Falcone e Borsellino “si saranno girati tre volte nella tomba a sentire questa riforma. Non bisognava avvicinarsi nemmeno alla tomba, alla lapide di questi grandi uomini nel momento in cui si produce un sistema di norme che favorirà i faccendieri e i mafiosi”. Un altro pm antimafia come Cafiero De Raho bolla come incostituzionale la riforma scritta da un ex presidente della Corte costituzionale, la Cartabia, insieme con un altro ex presidente della Consulta come Giorgio Lattanzi. Uscite senza dubbio più misurate rispetto a quella di Travaglio, il quale afferma che la Cartabia “non distingue un tribunale da un phon”.
Licenza di spiare
Alcune redazioni internazionali, tra cui Le Monde e The Guardian, hanno avuto accesso a numerosi contatti potenzialmente colpiti dal software-spia Pegasus, prodotto dall’azienda israeliana Nso Group per conto di una decina di governi. Diversi obiettivi all’interno della società civile sono stati effettivamente colpiti da Pegasus divenendo vittime del software identificate attraverso analisi tecniche approfondite sui loro telefoni condotte dagli esperti del Security Lab di Amnesty International. In Azerbaigian, Messico, Marocco e in Ruanda gli obiettivi del software sono soprattutto giornalisti, oppositori, avvocati, insegnanti e difensori dei diritti umani. L’Nso ripete da anni che i casi di sorveglianza politica sono incidenti isolati, ma le informazioni che Le Monde e i media partner hanno pubblicato, come riportato da Internazionale, dimostrano che gli abusi sono la norma, non l’eccezione. La libertà di parola e di opinione riveste un diritto fondamentale per le società e allo stesso tempo un delicatissimo equilibrio per l’umore delle società nel bene e nel male. Controllare e in alcuni casi censurare voci di dissenso o posizioni scomode può davvero rappresentare uno strumento decisivo per i governi che tendono a mantenere il potere e il controllo dell’opinione. In che modo però si potrà contrastare questo sistema che facilmente i più potenti possono avere tra le loro mani?
Il medico delle fake news
Secondo un'analisi del New York Times, il più influente diffusore di disinformazione online sul Coronavirus risponde al nome del Dr. Mercola, medico osteopata americano che da inizio pandemia ha pubblicato oltre 600 articoli su Facebook che mettono in dubbio i vaccini Covid-19. Lo scorso febbraio in un post di 3.400 parole ha affermato che i vaccini sono "una frode medica" e che le iniezioni non prevengono le infezioni, ma "alterano la tua codifica genetica, trasformandoti in una fabbrica di proteine virali che non ha un interruttore di spegnimento". Poco importa se le sue affermazioni erano facilmente confutabili. Nelle ore successive, l'articolo è stato tradotto dall'inglese allo spagnolo e al polacco. È apparso su decine di blog ed è stato raccolto da attivisti no vax, che hanno ripetuto le false affermazioni online. Il presidente Biden ha accusato la disinformazione online di aver indotto le persone ad astenersi dal vaccinarsi. Ma anche se il presidente ha esortato le aziende di social media a "fare qualcosa per la disinformazione", la fama del dottor Mercola dimostra la difficoltà di questo compito. Anziché affermare direttamente che i vaccini non funzionano, i post del dottore spesso pongono domande puntuali sulla loro sicurezza e discutono studi che altri medici hanno confutato. In questo modo diventa difficile etichettare i post come fake news. Dimostrazione di come sia complicato per i social media muoversi tra le sfumature e decidere quando segnalare un post senza cadere nella censura. Sembra evidente che una regolamentazione chiara e strutturata delle piattaforme social è sempre più urgente.
Green pass e scetticismo
Bastano le argomentazioni razionali per convincere gli scettici a vaccinarsi? Secondo Linkiesta no, e, anzi, questa retorica oltre che essere inutile è anche ipocrita. Dopo l’annuncio di Mario Draghi sull’approvazione del green pass in molti si sono riversati nelle piazze italiane per protestare contro questa misura. Al di là degli inspiegabili paragoni tra il green pass e l’antisemitismo, viene da chiedersi se sia meglio imporre una norma anziché tentare di persuadere le masse con argomentazioni razionali: sicuramente sarebbe meglio la seconda strada, tuttavia risulta impraticabile. Ci sono mille ragionevoli e irragionevoli motivazioni per diffidare dai vaccini e chi decide di vaccinarsi non lo fa sulla base di conoscenze personali in ambito medico, ma perché ha fiducia nella comunità scientifica internazionale e nelle autorità competenti. È lo stesso motivo per cui politici come Matteo Salvini possono allo stesso tempo esprimere il proprio scetticismo sui vaccini e farsi vaccinare o essere stati tra i primi a richiedere il vaccino russo, anche quando questo non aveva ancora ricevuto l’autorizzazione da parte delle autorità. Chi pensa di saperne di più dell’Ema, dell’Aifa, degli organi di informazione internazionale non si farà mai convincere. Pur sapendo, a livello logico, che per evitare nuovi lockdown e nuove sofferenze è necessario che quante più persone possibile si vaccinino. Dunque ha senso il green pass? Sì, non si tratta di eliminare la libertà personale, perché coloro che non si vaccinano possono compromettere la salute di tutte le altre persone. E lo Stato ha il diritto di tutelare i diritti di chi desidera tornare a uscire, lavorare e vivere.
Bolsonaro indossa il camice
Quando un capo di Stato pubblica dei video contenenti fake news sul COVID-19 su YouTube, può capitare che la piattaforma stessa si erga a garante della corretta informazione. È il caso del presidente brasiliano Jair Bolsonaro, reo di aver pubblicato 15 video disinformativi sulla pandemia, tra i quali uno in cui l’ex ministro della Salute Eduardo Pazuello paragonava il coronavirus all’HIV e un altro in cui una dottoressa brasiliana indicava l’idrossiclorichina e l’ivermectina come farmaci per curare i malati. Come riportato dal Post, YouTube ha spiegato tramite un comunicato che la decisione è stata presa dopo un’attenta analisi, senza tener conto del ruolo e delle idee politiche di Bolsonaro. L’ufficio stampa della piattaforma è stato costretto a sottolineare che le regole non consentono la pubblicazione di contenuti che affermano che l’idrossiclorochina e/o l’ivermectina sono efficaci nel trattamento o nella prevenzione del COVID-19, che esiste una cura per la malattia o che le mascherine non servono prevenire la diffusione del virus. Il presidente brasiliano non è nuovo a questo genere di inconvenienti sulle piattaforme online: già dopo aver contratto il virus, Bolsonaro aveva sminuito la gravità della pandemia, invitando la popolazione brasiliana a non usare la mascherina e dichiarandosi sempre contrario a restrizioni e lockdown. A causa di queste affermazioni, lo scorso anno Twitter e Facebook avevano rimosso diversi video pubblicati dal presidente brasiliano. Laddove le fake news viaggiano incontrollate, ci pensano le piattaforme stesse a limitarne l’effetto. O almeno ci provano.