top of page

Editoriale 145

La comunicazione sui media
25 - 01 ottobre

3 ottobre 2023

(S)fiducia nella scienza: parla Giorgio Parisi. La natura conviene. La geopolitica di Facebook. Il potere mediatico di Pechino. MeToo cinese. X: mission impossible. Interviste a confronto.

La Redazione


(S)fiducia nella scienza: parla Giorgio Parisi


La società sta perdendo fiducia nei confronti della scienza. A spiegare questo fenomeno è Giorgio Parisi, premio Nobel per la fisica nel 2021, in un articolo pubblicato su The Guardian, in cui analizza la situazione attuale e suggerisce alcuni modi in cui gli scienziati potrebbero riconquistare la fiducia delle persone. Parisi è stato attaccato più volte durante la pandemia da Covid-19: sia all’inizio quando ha espresso schiettamente la gravità del virus, sia quando è diventato portavoce della campagna vaccinale in uno spot televisivo. Per il fisico la sfiducia nella scienza è da attribuirsi a diversi fattori: innanzitutto alla diminuzione dell'importanza della parola stampata, negli ultimi decenni, a favore di forme di media visivi e iper-concisi, dalla TV a TikTok. La scienza ha bisogno di ampi dibattiti e di attenzione per potersi esprimere al meglio. Ma forse esistono ragioni più profonde: stiamo vivendo un periodo di pessimismo sul futuro che ha origine in crisi di vario tipo, da quelle economiche, climatiche e di esaurimento delle risorse, a quelle sociali e politiche, come la disuguaglianza, la precarietà del lavoro, la disoccupazione e infine la guerra. E così come la scienza in passato era solita ricevere il merito del progresso, ora invece riceve la colpa del declino e per molti gli scienziati sono diventati membri di un'élite, dunque non degni di fiducia. Come risolvere il problema? Una parte delle risorse umane e finanziarie destinate al progresso della scienza deve essere utilizzata per discutere con i cittadini, attraverso l'educazione, i media e i programmi di divulgazione, su cosa sia realmente la scienza: lo strumento più affidabile e onesto per comprendere il mondo e prevedere il futuro. È anche importante che gli scienziati parlino non solo dei loro successi, ma anche dei loro errori, dubbi ed esitazioni, in modo che la gente possa percepirli diversamente. Solo così si potranno evitare effetti disastrosi: se i cittadini non si fidano della scienza, non sarà più possibile combattere il riscaldamento globale, le malattie infettive, la povertà e la fame e l'esaurimento delle risorse naturali del pianeta.



La natura conviene


Investire nell’ambiente può aiutarci a salvare il pianeta… e conviene! Time riporta che nella tavola rotonda organizzata lo scorso settembre da Time CO2, la divisione di climate action della rivista, sono emerse delle conclusioni che vanno in questa direzione. Gli executive delle multinazionali che hanno partecipato all’evento, infatti, sono stati concordi nell’affermare che gli investimenti nella conservazione e ripristino degli ecosistemi hanno comportato non solo la riduzione delle emissioni delle filiere, ma anche la creazione di valore: il miglioramento della sicurezza idrica, il potenziale ritorno finanziario e una generale resilienza del business sono tra le ragioni indicate come importanti per motivare investimenti di questo tipo, che si aggiungono ad altre iniziative aziendali mirate a ridurre le emissioni. D’altra parte, sostengono i partecipanti all’incontro, la copertura mediatica di queste iniziative dovrebbe essere rivista e migliorata, perché al momento si concentra più su ciò che non ha funzionato che sui benefici che sono stati originati da queste azioni. E insieme si sono chiesti cosa possa essere migliorato, come, per esempio, la definizione di obiettivi chiari e di un piano per raggiungerli che, uniti a una comunicazione costante sui progressi ottenuti, possono ispirare altre aziende a investire maggiormente in azioni contro la crisi climatica, che oggi restano sottotraccia per via del cosiddetto “greenhushing”. Una scelta, quest’ultima, che, in conclusione, porterebbe anche dei benefici economici: come stima, infatti, PwC, mentre l’azione a favore del clima ha un costo pari ad almeno 2mila miliardi di dollari all’anno (principalmente per l’energia pulita), il costo dell’inazione è molto più alto. Investire per un mondo più sostenibile, insomma, conviene.



La geopolitica di Facebook


Da quando è salito al potere più di dieci anni fa, il Primo Ministro indiano Narendra Modi ha ripetutamente lanciato campagne di disinformazione per mobilitare la maggioranza induista del paese contro la minoranza musulmana in modo da consolidare il proprio potere. In base a quanto raccontato dal Whashington Post, i social media sono stati uno dei canali preferenziali per raggiungere l’obiettivo del premier indiano: specialmenteFacebook, la piattaforma social che non ha mai realmente ostacolato o combattuto tali campagne. L’India rappresenta per gli USA un paese strategico per contrastare la Cina, specialmente sul mercato tecnologico, e per questo si ritiene, anche a detta di ex funzionari statunitensi, che siano stati disposti a trascurare le violazioni dei diritti umani e la diffusione incontrollata di fake news per priorità geopolitiche. Nel 2019, ad esempio, l’attuale Meta si è rivolta ad uno studio legale per esaminare la sua gestione dei diritti umani in India. Dall’indagine è emerso che Facebook non ha fermato l’incitamento all’odio o contrastato la mobilitazione ad azioni violente nel Paese, ma questo documento non è mai stato pubblicato. Il partito di Narendra Modi e i suoi alleati nazionalisti indù hanno dunque approfittato della situazione per costruire un'enorme macchina della propaganda, con decine di migliaia di attivisti che diffondono disinformazione e post anche a sfondo religioso. Dallo scandalo di Cambridge Analytica, Facebook ha regolarmente contrastato la diffusione di fake news a livello globale, dovendo tuttavia spesso raggiungere compromessi con i governi di alcuni paesi, come appunto l’India, dove il potere economico e geopolitico sembra valere molto di più dei diritti umani e di una libera informazione.



Il potere mediatico di Pechino


Il dipartimento di Stato americano, attraverso un rapporto del Global Engagement Center, sostiene che la Cina sta investendo miliardi di dollari per “costruire un ecosistema globale che promuove la sua propaganda e facilita la censura e la diffusione di disinformazione”. Il rapporto, come spiega Formiche, elenca cinque elementi che, se avessero successo, potrebbero influenzare il panorama informativo globale a favore di Pechino. Ciò sicuramente trova forza nel carattere autoritario di Xi Jinping, che da sempre ha adottato una forte pressione sui media, applicando un controllo del dissenso sulle proprie piattaforme da quando è salito al potere (vedi Editoriale 85). Gli impatti globali includono l'acquisizione di influenza su contenuti e piattaforme, la limitazione della libertà di espressione globale e la promozione di una comunità digitale autoritaria. L'articolo cita accordi tra l'agenzia di stampa cinese Xinhua e organi di informazione in vari paesi, inclusa l'Italia, e menziona anche il coinvolgimento di aziende cinesi come Huawei e TikTok nelle pratiche di limitazione della libertà di espressione, non è un caso che rimangano ombre sull’app cinese, anche a causa dell’evasività dimostrata dal Ceo di TikTok Shou Zi Chew di fronte alle domande del Congresso americano inerenti alla protezione dei dati personali (vedi Editoriale 125).



MeToo cinese


I valori del femminismo sono arrivati anche in Cina. I social media del Paese, come spesso accade, sono i vettori di questa rivoluzione dove gli hashtag relativi ai diritti delle donne ottengono sempre più click. Il governo sta quindi cercando di boicottare il movimento online, applicando restrizioni a contenuti di questo genere, come riporta Rest of World. Un professore di giornalismo ha detto che le autorità non vogliono “che nulla formi una forza sociale abbastanza forte da scatenare una rivolta o fare qualsiasi cosa che possa portare instabilità. Monitorano costantemente se da un hashtag o uno specifico evento online possa nascere qualcosa di socialmente rilevante”. Dal 2018, quando il movimento MeToo ha dato vigore al femminismo cinese, il social media Weibo ha agito di conseguenza limitando l’attività di attiviste cinesi come Lin Maomao e quella di account come Feminist Voices che sensibilizzava sui diritti delle donne. Dal gennaio 2021, Weibo ha iniziato ad indicare la “provoking gender opposition” come motivo per rimuovere i profili scomodi al partito comunista. Come conseguenza inevitabile, le idee patriarcali si sono radicate ancor di più facendo sì che uomini spinti dall’odio misogino rintraccino e segnalino le donne attiviste etichettandole come simbolo della propaganda occidentale anticinese. Dall’altra parte però, nonostante Weibo rimanga il social più usato in Cina, si stanno facendo strada Xiaohongshu e Douban,piattaforme in cui le donne sono le utenti più attive e riescono a creare interazioni con altre attiviste in gruppi nascosti.



X: mission impossible


Era lo scorso 11 maggio quando Linda Yaccarino, Head of Global Advertising di NBCUniversal, è stata annunciata come nuova Ceo di X da Elon Musk attraverso un tweet che – come al solito – ha colto tutti di sorpresa, Yaccarino compresa. Come riportato dal Financial Times, il nome della manager non compariva nel tweet, ma tra gli addetti ai lavori la voce ha iniziato a circolare rapidamente. La manager ha il difficile compito di resuscitare un’azienda la cui forza lavoro è stata ridotta all’osso e che ha visto diminuire la pubblicità al suo interno. La manager gode di un’ottima reputazione nel settore pubblicitario, gli addetti ai lavori la descrivono come un’esperta networker e costruttrice di relazioni, una persona divertente, tosta e grintosa. Ma dovrà combattere con l’immensa e pervadente personalità di Musk, che resta Chief Technology Officer, presidente esecutivo e proprietario di X.  I due hanno responsabilità aziendali molto distinte. Musk è a capo dei team di ingegneria e di prodotto. Yaccarino, invece, si occupa di tutte le funzioni aziendali – HR, partnership, legal, sales e finance. Da quando la manager è salita a bordo, il circo mediatico attorno al miliardario texano non ha fatto altro che intensificarsi e il suo, secondo molti, è stato un vero e proprio battesimo di fuoco. Nonostante le difficoltà, Yaccarino è riuscita a portare avanti con successo alcune delle sue priorità in X, come il “client council” aziendale e un accordo con Google affinché il colosso della ricerca vendesse gli spazi pubblicitari di X.  Un grande testper la leadership di Yaccarino saranno le elezioni presidenziali americane del 2024. Dopo il caso Trump in seguito all’attacco al Campidoglio, assicura che X sta rafforzando il proprio personale in vista della campagna “espandendo i team di sicurezza ed elettorali in tutto il mondo”. In ogni caso, la scelta di accettare la carica di CEO di X andrà a suo favore: se non riuscisse a mantenere i suoi impegni, è probabile che la colpa ricada direttamente su Musk; se ci riuscisse, avrà fatto l’impossibile. Alcuni, inoltre, ipotizzano che le sue ambizioni superino l'essere amministratore delegato di X: si dice che abbia accennato a progetti su ruoli come quello di CEO della Disney.



Interviste a confronto


Se in America i giornalisti che intervistano gli esponenti politici difficilmente indagano e pongono loro interrogativi particolarmente scomodi, nel Regno Unito è diverso. I media televisivi britannici, difatti, mostrano poca deferenza all’autorità: ne è un esempio il reporter Jonathan Swain di Good Morning Britain che nel 2019 costrinse l'ex primo ministro britannico, Boris Johnson, a nascondersi in un frigorifero per sfuggire alle sue domande. Negli Stati Uniti, al contrario, i leader hanno a che fare con domande semplici o inutili. Quando il politico è evasivo, l'intervistatore troppo spesso va avanti lasciando che il politico possa cambiare argomento. Tuttavia, come riporta The Atlantic, di recente Mehdi Hasan di MSNBC ha fatto qualcosa di insolito: in un'intervista con il repubblicano Vivek Ramaswamy, ha deciso di continuare a fare le stesse domande finché non ha ottenuto una risposta. Un episodio simile si è verificato in occasione dell’intervista di Jonathan Swan di Axios a Trump: il giornalista contrastava con i fatti ciò che sosteneva l’ex Presidente americano e gli impediva di cambiare argomento fin quando non aveva ottenuto una risposta esaustiva. A Washington, i politici possono danneggiare i mezzi di informazione troppo duri nei loro confronti rifiutandosi di apparire nuovamente sulle loro reti: da qui la preoccupazione per un giornalismo” troppo cortese”, in cui gli intervistatori evitano di oltrepassare invisibili linee di deferenza per mantenere rapporti cordiali con politici la cui presenza aumenta gli ascolti della loro rete e le entrate. Un tempo i giornalisti davano per scontato che i politici conoscessero i fatti fondamentali del mondo che stavano cercando di governare. Ma non è più così. Per questo denunciare una pericolosa ignoranza è nell’interesse pubblico e non è affatto scortese: è giornalismo.

bottom of page