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Editoriale 107

La comunicazione sui media
14 - 20 novembre

22 novembre 2022

Mastodon non è Twitter. Guerra a colpi di meme. Fox News non ci sta. Luci e ombre in Regno Unito. Ignoranza critica. Comunicare durante una pandemia: lesson learned. Haters contro aspiranti giornalisti. La politica locale diventa un gioco.

La Redazione


Mastodon non è Twitter


Molti utenti di Twitter, preoccupati da un’escalation di odio online e dall’eccessivo monopolio del nuovo proprietario (è recente infatti la riammissione di Trump su Twitter dopo un sondaggio di Musk rivolto agli utenti), hanno deciso di abbandonare il social per spostarsi verso alternative. Un esempio è certamente rappresentato dal social Mastodon, fondata da Eugen Rochko nel 2016 con l’obiettivo di sviluppare una piattaforma open-source di microblogging di facile utilizzo, che non appartenesse a nessuna autorità centrale o singola azienda ma piuttosto dove fossero le comunità a formare le proprie reti basate su server indipendenti, scegliendo quindi le proprie regole. Come riportato in un’intervista su Wired, secondo Rochko i social network possono sostenere un sano dibattito, senza che una sola persona ne abbia il controllo, e dato il caos generatosi su Twitter, nelle ultime settimane le iscrizioni su Mastodon sono aumentate enormemente, grazie anche alla “pubblicità” offerta da Elon Musk che aveva preso in giro il nuovo social in un suo tweet. Tra i nuovi utenti, secondo quanto riportato dal Columbia Journalism Review, anche molti giornalisti che tuttavia in alcuni casi sono stati bloccati o “bannati” dal server e quindi dagli utenti della comunità. Molti giornalisti entrati a far parte del nuovo social ricercavano su questa piattaforma le stesse modalità di posting e sharing di Twitter, ignorando il fatto di trovarsi su una piattaforma diversa per natura e anche per gli utenti che la popolano. Bisognerà vedere se alla fine Mastodon accoglierà l'afflusso di giornalisti che fuggono da Twitter e sperano di ricreare quello che avevano lì.



Guerra a colpi di meme


Un ruolo chiave nella lotta alla disinformazione russa è svolto da gruppi di attivisti capaci di inserirsi nella complessa rete di fake news del Cremlino, combattendone e limitandone l’effetto sugli utenti. Come spiega un articolo de The Washington Post siamo di fronte a piccole realtà che difendono i valori democratici “penetrando e distruggendo le chat room della cospirazione”. È il caso degli “Elfi della Lituania”, gruppo nato 8 anni fa che oggi rivendica migliaia di membri e che combatte sul web a suon di meme, post e vignette satiriche la disinformazione. Se queste realtà da una parte sono molto efficaci e pronte a combattere mediaticamente, la loro presenza però risulta ancora oggi limitata. Non a caso i troll russi giocano ancora un ruolo importante, non solo in patria ma anche all’estero. È il caso del boicottaggio social contro Linda Sarsour, l’attivista americano-palestinese che nel gennaio 2017 ha guidato a Washington la Women’s March contro il presidente Trump. Da San Pietroburgo infatti hanno iniziato a postare sul web contenuti critici verso la manifestazioneusando delle fittizie identità americane (vedi Editoriale 99). Una piaga destinata a durare nel tempo ma che può trovare in eco chamber pubbliche e democratiche uno strumento utile per contrastare la disinformazione (vedi Editoriale 101).



Fox News non ci sta


The Guardian racconta che, in controtendenza rispetto alla recente posizione di Murdoch sull’ex inquilino della Casa Bianca (vedi Editoriale 106), Fox News continua a sostenere a Trump: “Murdoch ha pochissimo controllo sul suo canale più importante, la Fox”, ha infatti dichiarato Michael Wolff, media commentator che ha scritto 3 libri su Trump, convinto che la maggior parte degli ascolti dipenda proprio dall’ex Presidente. Diversi conduttori di Fox News, infatti, come Sean Hannity e Tucker Carlson, hanno un pubblico fedele abituato da anni a contenuti a suo favore, che non apprezzerebbe una rapida inversione di rotta. Secondo la media analyst Alice Enders, lasciare andare Trump avrebbe un impatto economico disastroso. Bandito e riammesso da Twitter, “Trumpty Dumpty” ha accusato la rete di favorire il governatore della Florida Ron DeSantis. Mentre Jason Miller, ex collaboratore di Trump e amministratore delegato del social network Gettr, ha elogiato la CNN per aver dedicato 25 minuti del suo servizio alla candidatura alle prossime presidenziali. Sullo sfondo, inoltre, c'è il tentativo di Murdoch di riunire due parti del suo impero e di consegnarne il controllo al figlio 51enne Lachlan. Ciò che che è certo, come dice la Enders, è che “Murdoch non sostiene i perdenti. Trump è un perdente”.



Luci e ombre in Regno Unito


Come riportato da Byline Times, Ed Barker, un “insider” di Westminster che ha svolto un ruolo chiave nella campagna per la leadership di Boris Johnson, è ora consulente di Cuadrilla: si tratta dell’unica società che si occupa di fracking per la ricerca di gas di scisto in Gran Bretagna e che ha dovuto affrontare una feroce opposizione da parte dei gruppi ambientalisti e dei residenti locali. Barker ha gestito le pubbliche relazioni per numerose organizzazioni del Partito conservatore ed è stato nominato ministro dell'Irlanda del Nord da Liz Truss a settembre, posizione che ha mantenuto anche quando Rishi Sunak ha assunto il comando di Downing Street un mese dopo. Truss aveva revocato la moratoria sul fracking durante il suo breve mandato ma Sunak ha ripristinato il divieto, dichiarando il mese scorso alla Camera dei Comuni di voler onorare l'impegno del manifesto del Partito conservatore del 2019 di mantenere il divieto di questa pratica in Inghilterra. Gli stretti legami dell'impresa di fracking con il Partito conservatore non sono nuovi: quando era Primo Ministro, David Cameron ha nominato l'allora presidente di Cuadrilla, Lord John Browne, come principale direttore non esecutivo dell'Ufficio di Gabinetto. Come riportato dall’articolo di Byline Times, lo stesso Sunak ha recentemente nominato un ex direttore di Centrica – l'azienda che possiede British Gas – come suo consulente in materia di affari ed energia. Questo dopo aver ricevuto 141.000 sterline da “interessi energetici” durante la sua campagna di quest'estate. La nomina di Barker segna ulteriormente i legami tra il governo e le imprese energetiche. Cuadrilla e lo stesso Ed Barker non hanno risposto alle richieste di commento.



Ignoranza critica


Dalla sovrabbondanza di informazioni deriva la necessità sia di un pensiero critico sia, soprattutto, di “un'ignoranza critica”, ossia l'abilità di sapere su cosa non riporre la propria attenzione. Siamo infatti inondati da informazioni di bassa qualità che spesso evocano in noi curiosità, indignazione o rabbia. Resistere a certi tipi di stimoli richiede che le persone adottino nuove abitudini mentali che le aiutino a non lasciarsi tentare da contenuti potenzialmente dannosi.  È questa la tesi sostenuta nella ricerca “Critical Ignoring as a Core Competence for Digital Citizens” riportata da NiemanLab. Lo studio sostiene che l'alfabetizzazione all'informazione digitale debba includere la competenza di scegliere cosa ignorare e dove investire le proprie limitate capacità di attenzione e individua tre tipi di strategie cognitive per l'attuazione dell'ignoranza critica. Il primo è il self-nudging, in cui si ignorano le tentazioni rimuovendole dai propri ambienti digitali; il lateral reading, in cui si vaglia l'informazione abbandonando la fonte e verificandone la credibilità altrove; e infine il do-not-feed-the trolls heuristic, che consiglia di non ricompensare gli attori malintenzionati con la propria attenzione. La ricerca suggerisce che queste strategie di implementazione dell'ignoranza critica dovrebbero far parte dei curricula scolastici sull'alfabetizzazione informativa digitale. L'insegnamento ad ignorare criticamente richiede un cambiamento di paradigma nel pensiero degli educatori, e incoraggiare gli studenti ad abbracciare l'ignoranza critica può metterli in grado di proteggersi dagli eccessi, dalle trappole e dai disturbi dell'informazione dell'odierna economia dell'attenzione.



Comunicare durante una pandemia: lesson learned


Nonostante il Covid-19 sia ancora presente, governi e scienziati stanno già discutendo su quali strategie adottare per rispondere a future minacce pandemiche. Un fattore importante, secondo quanto riportato da Scientific American alla luce dei risultati di nuove ricerche in ambito comportamentale, è sicuramente l’efficacia della comunicazione. Gli studiosi hanno individuato alcuni passi e misure da seguire per creare una comunicazione che sensibilizzi al meglio la popolazione. Prima di tutto: “make it easy”, ovvero rendere più facile fare la cosa giusta. Anche se alcune misure restrittive sono necessarie, spesso le imposizioni ottengono l’effetto contrario. Ciò che i governi dovrebbero fare è trasformare gli obblighi in azioni preventive semplici, accessibili a tutti e richiedendo il minimo sforzo. In secondo luogo, puntare sull’empatia potrebbe essere la chiave giusta per raggiungere i più scettici. Quindi, costruire campagne che facciano sentire le persone maggiormente coinvolte e che facciano capire loro l’importanza di proteggere gli altri. In questo modo, si dovrebbe combattere anche la disinformazione: le autorità sanitarie devono essere trasparenti e oneste quando comunicano con il pubblico. Oltre a ciò, dovrebbero essere previsti piani legislativi più ampi che permettano ai social network di bloccare le fake news. Un altro importante passo è scegliere il portavoce più adatto: leader locali e influencer potrebbero essere utilizzati in futuro per promuovere al meglio messaggi importanti che riguardano la salute pubblica. Naturalmente è bene non sovraccaricare le persone di informazioni, altrimenti si rischia di diminuire l’efficacia del messaggio. Infine, è bene adottare una comunicazione che spieghi l’importanza di un comportamento preventivo. I governi dovrebbero stanziare maggiori finanziamenti ai dipartimenti di sanità pubblica locali in modo che le persone possano capire meglio come operano, così che siano poi più propense a seguire le linee guida ufficiali in caso di pandemia. Nel momento in cui la comunicazione delle autorità sarà chiara, onesta e tempestiva, il pubblico risponderà in modo positivo.



Haters contro aspiranti giornalisti


In America gli aspiranti giornalisti sono costretti a fare i conti con ondate di abusi e molestie, che spingono alcuni ad abbandonare la strada prima ancora di cominciare. Difatti, come sottolinea The Washington Post, una studentessa al secondo anno dell'Università dell'Arizona - Olivia Krupp - ha ricevuto una serie di molestie che ha sconvolto la sua vita dopo la pubblicazione di un articolo sul giornale del college. Questa vicenda ha portato alla luce la crescente minaccia che le molestie online rappresentano per i giovani giornalisti degli Stati Uniti, soprattutto per quelli alle prime armi. Un sondaggio risalente al 2019 del Committee to Protect Journalists ha rilevato che l'85% degli intervistati ritiene che la propria carriera sia diventata meno sicura negli ultimi cinque anni e oltre il 70% ha dichiarato di aver subito problemi o minacce nell'ambito del proprio lavoro. E il problema viene particolarmente riscontrato dagli aspiranti giornalisti - spesso facenti parte della generazione Z (ovvero la prima generazione di nativi digitali) - perché maggiormente esposti online: luogo per loro necessario da presidiare perché oggi per i giovani la creazione di un'immagine pubblica è fondamentale anche per essere assunti. Il mantenimento di questa immagine, d’altro canto, offre agli haters un maggiore possibilità di indirizzare i loro attacchi. E, dal momento che con la diffusione delle pubblicazioni universitarie online, il lavoro degli studenti giornalisti è accessibile come non lo era prima, è necessario tutelare e proteggere questi ragazzi e i loro sogni. Ma come?



La politica locale diventa un gioco


A Berlino, dove a seguito del caos durante l’Election Day 2021 le elezioni per il parlamento del Land omonimo e per i municipi locali dovranno essere ripetute, si sperimentano nuove modalità per avvicinare i cittadini alla politica locale. A riportarlo è NiemanLab, che cita un’iniziativa del quotidiano Taggesspiel: il giornale ha infatti sviluppato assieme all’agenzia di game design Planpolitik e con il sostegno del sistema bibliotecario berlinese BVV-Planspiel, un gioco gratuito che permette ai residenti della capitale di imparare come funzionano le amministrazioni locali. Un’attività che, dopo una fase pilota, sarà lanciata nel 2023, e che è stata progettata come complementare alle 12 newsletter che il Tagesspiegel pubblica tutti i giorni per tenere informati gli abitanti degli altrettanti distretti della capitale. Il gioco è ambientato in un quartiere inventato della città, e i partecipanti impersonano i membri del municipio della zona, ciascuno rappresentante di un diverso partito inventato (ma con programmi ispirati a quelli reali): in novanta minuti devono risolvere problemi come decidere se mettere una pista ciclabile su una strada principale, installare luci di notte in un parco o a che progetto destinare un’area di terreno incolto, argomentando le proprie scelte e replicando alle critiche; questioni molto simili, insomma, a quelle che gli amministratori locali si trovano a esaminare e che per i residenti possono essere anche molto sentite. Il Tagesspiel porta, dunque, a fare un passo in più rispetto a modalità di fruizione passiva della politica locale come la lettura di articoli dedicati o la partecipazione da ospiti alle sedute dei consigli municipali. L’iniziativa è favorita dalla dimensione più piccola della comunità distrettuale, ma rimane da analizzare per la modalità del gioco e per il fatto che a proporla sia stato un organo di informazione.

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