Editoriale 86
La comunicazione sui media
30 - 05 giugno
7 giugno 2022
L’Italia delle Matrioske. Audience, propaganda o libertà di parola? Depp-Heard: il processo dei media. Le spie cinesi non sono così temibili. Dissenso per stimolare il dialogo. Pugno duro contro la disinformazione. La Bestia non morde più. Meno hype, più nuance e tensione al pluralismo.
La Redazione
L’Italia delle Matrioske
L’Italia nel panorama europeo e mondiale, per i trascorsi legami che negli anni ha intessuto col Cremlino, è un’osservata speciale nel confitto fra Russia e Ucraina (vedi Editoriale 84). Un’intera nazione accusata di “russofobia” come riporta il Corriere della Sera che analizza come il Paese sia soggetto a critiche da media, influencer russi che fanno leva su una campagna di disinformazione diffusa con lo scopo di denunciare l’atteggiamento italiano, così come quello occidentale anti Cremlino, e dimostrare che le sanzioni sono un’arma a doppio taglio nei confronti di chi le applica. Un modus operandi quello della Russia che fa leva su campagne digitali incentrate sulla propagazione di notizie false, in grado di acuire il senso di panico e forzare ad una resa secondo quanto approfondito da Il Sole 24 Ore. Non sono però solo esponenti politici, influencer e giornalisti russi a fare propaganda anti-occidentale, bensì proprio in Italia numerose sono le figure che manifestano un sentimento filorusso. Il Copasir infatti attraverso un’indagine approfondita riportata dal Corriere della Sera ha evidenziato come esista una rete fitta di profili, figure social, lobbisti e manager pro Putin “che tentano di orientare, o peggio boicottare, le scelte del governo”. L’Italia si trova così a vivere un conflitto interno sottile. Così come una Matrioska in cui all’interno di una bambola ve ne sono altre più piccole, così l’Italia vive al suo interno correnti di pensiero diverse che raffigurano una nazione tesa tra una spinta alla censura della guerra e un sempre più crescente fervore anti-occidentale che, come spiega Federico Rampini in un articolo del Corriere della Sera, c’è sempre stato, e su cui oggi come non mai Putin può fare affidamento.
Audience, propaganda o libertà di parola?
Tema di discussione di molti quotidiani e opinionisti all’estero è la diffusione della propaganda del Cremlino nella tv italiana, grazie all’ampio spazio concesso a discutibili funzionari del governo di Vladimir Putin nei media di casa nostra (vedi Editoriale 76 e 85). Come riporta Linkiesta, un articolo di Figaro racconta come la campagna filorussa sia così diffusa nei palinsesti nostrani poiché sembri aumentare l’audience. Anche Le Monde riprende l’argomento e definisce Alessandro Orsini, volto dei talk show politici italiani, “un personaggio secondario” e “uno di quegli esperti intercambiabili” fino all’invasione dell’Ucraina, mentre adesso sembra quasi essere diventato una star. Motivo di contestazione dei quotidiani stranieri è anche l’intervista al ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov, andata in diretta con traduzione simultanea su Rete 4. Anche Libération, altro quotidiano francese, denuncia la presenza di opinionisti pro-Putin e dei loro commenti ingiuriosi nei media nostrani, con particolare riferimento a Dmitri Kulikov (che ha dichiarato in diretta su La 7 che le tv italiane sono le uniche a invitarli). Anche in Spagna, El Paìs e El Confidential sottolineano la distanza tra le posizioni dell’Unione europea e quelle dell’Italia e si allontanano dalla condiscendenza con la quale i presentatori italiani si rivolgono ad alti esponenti del governo russo. Politico pone, invece, l’accento sul sistema televisivo di casa nostra, definito “ormai marcio” (vedi Editoriale 85). Anche The Guardian e l’agenzia internazionale Reuters prendono posizione contro le scelte discutibili dei nostri media. Intanto in Italia, alcuni esperti e opinionisti hanno iniziato a rifiutare alcune partecipazioni a talk show come piccolo gesto di dissenso verso lo spazio dato alla propaganda russa. È giusto che i media nazionali consentano la parità di trattamento di tutte le opinioni nello spazio pubblico? Il pluralismo e la libertà di parola si stanno mescolando con la diffusione di notizie false e di verità non basate sull’evidenza?
Depp-Heard: il processo dei media
Quando la giuria si è espressa a favore di Johnny Depp nel processo per diffamazione contro l’ex moglie Amber Heard, migliaia di influencer si sono affrettati a commentare. Come analizzato dal Washington Post, questa causa legale ha offerto uno sguardo potenziale sul futuro dei media, in cui i creator di contenuti, che di solito si occupano di altro, hanno informato in tempo reale il loro pubblico e hanno influenzato la narrativa riguardo i principali eventi. Grazie all’ampia attenzione mediatica sul processo, hanno ottenuto un grande profitto personale. In questo nuovo panorama, ogni importante evento di notizie diventa un'opportunità per aumentare follower, denaro e influenza. La popolarità del processo online ha incoraggiato gli influencer a concentrarsi a competere direttamente con le organizzazioni giornalistiche tradizionali che hanno seguito i fatti. La differenza, tuttavia, sta nel fatto che gli influencer non sono vincolati a nessuno standard editoriale o norma giornalistica. Oltre a questo, come sottolineato dal New York Times, un altro elemento emerso dal processo Depp-Heard è la responsabilità dei media, ovvero il rischio che corrono le donne quando denunciano una violenza e quello delle testate giornalistiche che decidono di dar loro voce. Gli esperti del Primo Emendamento (la libertà di stampa e di parola) hanno affermato che Depp non è mai stato in una posizione legale forte, considerando che i personaggi pubblici devono provare che la persona che accusano di diffamazione ha agito con “malizia” o che la persona sapeva di mentire. Eppure, ha vinto, lanciando un avvertimento a chiunque fosse disposto a pubblicare tali accuse. Da una parte, dunque, il Primo Emendamento e dall’altra il reato di diffamazione: il Washington Post non si è trovato in una posizione facile quando ha deciso di pubblicare l’articolo di Amber Heard (2018). Secondo alcuni studiosi, preoccupati per le cause di diffamazione in un clima sempre più polarizzato, soprattutto nei confronti dei giornali, hanno affermato che il fatto che la testata non sia stata citata in giudizio potrebbe aver facilitato la vittoria di Johnny Depp.
Le spie cinesi non sono così temibili
Negli ultimi anni, come riporta The Economist, la Cina ha ampliato le sue attività e capacità di spionaggio, concentrandosi sul furto di tecnologia nei settori che cerca di dominare, come robotica, aerospaziale e biofarmaceutica, ma non solo. Chris Wray, il direttore dell'FBI, ha dichiarato a gennaio che i suoi agenti aprono un caso di controspionaggio relativo alla Cina all'incirca ogni 12 ore. Ma il servizio di spionaggio cinese è davvero così efficiente? Di fronte a prove schiaccianti che la Russia stava per invadere l'Ucraina, le spie cinesi sembrano aver perso qualche colpo. Qualunque cosa Vladimir Putin abbia detto a Xi Jinping quando i due presidenti si sono incontrati a Pechino lo scorso 4 febbraio, la Cina non sembrava preparata all'invasione russa tre settimane dopo. Un indizio è stata la sua incapacità di fare piani per evacuare i suoi cittadini in Ucraina. Naturalmente, anche altri paesi non sono riusciti ad anticipare l'invasione. Forse Putin ha avvertito Xi e lo ha convinto che sarebbe stato fatto in pochi giorni. Ma date le rinomate capacità della Cina, la sua mancanza di pianificazione di emergenza e consapevolezza della situazione suggeriscono un grave fallimento dell'intelligence. La Cina negli ultimi anni ha intensificato gli sforzi per assicurarsi l'influenza politica nelle democrazie, spesso offrendo finanziamenti o vantaggi ai politici, anche se di solito ciò viene fatto attraverso un ramo del Partito Comunista chiamato Dipartimento del Lavoro del Fronte Unito, piuttosto che le sue agenzie di spionaggio. Tuttavia, quando si tratta di spiare i governi stranieri, gli interessi globali della Cina si sono espansi così rapidamente negli ultimi tre decenni che le sue agenzie di intelligence sembrano aver lottato per identificare priorità chiare su quali informazioni cercare e dove. La conclusione incoraggiante per molti governi occidentali è che le spie cinesi non sono sempre all'altezza di quanto pubblicizzato.
Dissenso per stimolare il dialogo
La nuova ondata di dissenso popolare contro l’establishment politico della Repubblica islamica, come raccontato da Formiche, è frutto di una complessa stagione per il Paese che vive una crisi economica unita a problemi strutturali e cattiva gestione del potere. Il presidente Ebrahim Raisi ha deciso di sedare e reprimere con la forza le manifestazioni popolari, in modo da minimizzare quanto sta accadendo ed evitare ulteriore diffusione ed emulazione delle proteste e della crescente frustrazione dell’opinione pubblica per i problemi dell’economia iraniana. Per il Governo però, già in difficoltà per le sanzioni statunitensi, la soluzione più efficace per dare un po’ di sollievo all’economia sarebbe il ritorno del Paese nei dettami del Jcpoa, l’accordo per il congelamento del programma nucleare iraniano, naufragato nel 2018 quando l’amministrazione Trump ne ha tirato fuori gli Stati Uniti, che hanno ripristinato sanzioni economiche contro l’Iran. Un rientro iraniano nel programma porterebbe maggiore tranquillità in Usa e per la stessa economia dell’Iran ma il presidente conservatore Raisi non è ideologicamente orientato al dialogo con l’Occidente e il malcontento popolare verso una gestione governativa così conservatrice potrebbe mettere in difficolta lo slancio della società iraniana, specialmente in questo contesto energetico così delicato. Le tensioni sociali e l’umore della popolazione possono però mettere il governo spalle al muro e spingere verso un dialogo con l’Occidente, a dimostrazione che comunicare e manifestare il dissenso può essere ancora uno strumento forte e più determinante del denaro, nonostante le dittature globali che cercano invece di sedare il dialogo e l’attivismo sociale e politico.
Pugno duro contro la disinformazione
Diversi Stati americani stanno investendo più denaro e sforzi per combattere le informazioni false e fuorvianti sulle elezioni (vedi Editoriale 46). Come raccontato dal New York Times, tra questi anche il Connecticut che, memore del diluvio di false informazioni circolate prima delle scorse elezioni, ha deciso di spendere quasi 2 milioni di dollari per potenziare la circolazione di informazioni concrete in vista del prossimo voto. Di questi, 150mila dollari andranno a una figura ad hoc che avrà il compito di passare al setaccio il mondo online per scovare le prime narrazioni false prima che diventino virali. “Dobbiamo avere una consapevolezza della situazione, esaminando tutte le minacce in arrivo per l'integrità delle elezioni - ha dichiarato a tal proposito Scott Bates, vice segretario di Stato del Connecticut -. La disinformazione può erodere la fiducia dei cittadini nelle elezioni e noi la consideriamo una minaccia critica al processo democratico”. Hanno deciso di seguire le orme del Connecticut anche l’Oregon, l'Idaho e l'Arizona, che hanno avviato campagne educative e pubblicitarie su internet, TV, radio e cartelloni per diffondere informazioni accurate sugli orari dei seggi, sull'eleggibilità degli elettori e sul voto per corrispondenza.
La Bestia non morde più
La macchina comunicativa di Matteo Salvini, originariamente manovrata da Luca Morisi e nota ai media come “la Bestia”, parrebbe, secondo i dati recenti, aver perso il suo originario mordente (vedi Editoriale 50 e 9). Secondo un articolo di Repubblica, sono 285mila i fan persi su Facebook dal leader della Lega nel 2022. Seppur Salvini rimanga il politico italiano con più follower (5 milioni, seguito da Conte, Di Maio e Meloni), tale risultato viene conseguito con un dispendio maggiore di ogni altro leader di partito: 21mila euro in spese social nell’ultimo trimestre, di cui 8mila in inserzioni. Parrebbe non premiare la ripetitività delle tecniche comunicative (il continuativo incrocio tra temi pubblici e scene di vita privata e selfie) così come degli argomenti politici. Con il calo nei sondaggi, cambia anche l’agorà prediletta da Salvini in campagna elettorale: non più grandi piazze gremite di sostenitori, ma più ristretti (e facili da riempire con pochi fedeli) bar e gazebo. In calo, comunque, i fan di tutti i leader di partito, in primis tra i 5 Stelle (Giuseppe Conte -108mila, Luigi Di Maio -116mila, Beppe Grillo - 187mila), che non acquistano tuttavia inserzioni sui social. Con 12mila euro di sponsorizzate nel trimestre, è invece in crescita Gianluigi Paragone di Italexit (+110mila fan).
Meno hype, più nuance e tensione al pluralismo
La CNN rivoluziona l’uso del banner “Breaking News”. Come riporta il New York Times, l’etichetta sarà riservata soltanto a notizie urgenti, tali da richiedere allo spettatore di interrompere tutto ciò che sta facendo per seguire la loro evoluzione. E, salvo alcune eccezioni (sparatorie in una scuola, uragani devastanti e morti di leader mondiali, per esempio), il banner rimarrà sullo schermo soltanto per un’ora. Una decisione, ha spiegato il nuovo presidente e amministratore delegato dell’emittente Chris Licht, dettata dal fatto che l’impatto di questa etichetta “è andato perduto presso la audience”, e motivata dalla visione di una CNN che dovrebbe focalizzarsi “sull’informare e non allarmare gli spettatori”. Il cambiamento rispetto all’era Zucker – visibile anche a livello manageriale, sottolinea il NYT – è notevole: meno hype, più nuance e il raddoppio dello sforzo mirato a raggiungere spettatori di ogni sorta. La sintesi di quest’ottica è esemplificata dal tentativo di invitare più voci conservatrici agli show politici e dall’indicazione ai produttori di ignorare il backlash di Twitter dall’estrema destra all’estrema sinistra. Il nuovo approccio di Licht, non esente da scetticismo da parte di qualcuno all’interno della rete, mira a “sfidare la filosofia tradizionale dei canali di notizie via cavo”, in un momento in cui “a dominarle sono gli estremi”. Se da un lato può essere visto come un azzardo, questo modello potrebbe, però, rappresentare anche un’alternativa vincente nel suo non essere polarizzata, a differenza, per esempio, della concorrente Fox News che fa dello scontro e dell’estremismo il suo principale linguaggio, realizzando anche trasmissioni simpatizzanti verso la Russia (vedi Editoriale 75 e 79).