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Editoriale 54

La comunicazione sui media
18 - 24 ottobre

26 ottobre 2021

L’inchiesta sul direttore di Bild e la libertà di stampa in Germania. Crisi del sistema mondiale dell’informazione e colonialismo digitale. The Truth of Trump e le colpe di Facebook a Capitol Hill. Internet in Russia: minaccia al potere. Pressioni, conservatorismo e ostilità nella redazione del Wall Street Journal.

La Redazione


L’inchiesta sul direttore di Bild e la libertà di stampa in Germania


Julian Reichelt, direttore di Bild, importante tabloid tedesco di centrodestra, e nuovo volto di Bild TV, è stato rimosso dall’incarico dopo essere stato accusato di sistematici abusi di potere nei confronti delle dipendenti e di molestie sessuali. La sua condotta è stata oggetto di diverse indagini, l’ultima da parte del New York Times che ha pubblicato un’inchiesta molto dettagliata, a seguito della quale l’editore della testata Axel Springer si è visto costretto a licenziare Reichelt. Anche il settimanale tedesco Der Spiegel si era occupato di questo problema già nel marzo 2021 e a breve sarebbe stata resa nota un’indagine da parte del gruppo editoriale Ippen, poi non pubblicata per “non mescolare interessi economici volti a danneggiare un concorrente”. Come riporta anche Il Post, l’inchiesta su Reichelt non riguardava solo le accuse di abuso di potere, ma anche il modo in cui il gruppo editoriale guidato da Springer aveva gestito le accuse. Pare infatti che la situazione fosse nota già da tempo anche internamente, ma che gli atteggiamenti di Reichelt fossero stati etichettati come semplici “errori” di chi “non sa distinguere la vita privata da quella lavorativa”: per questi motivi era stato sospeso per 12 giorni. «È così che va a Bild. Quelle che vanno a letto con il capo si prendono i lavori migliori» sembra aver detto la tirocinante con cui il direttore aveva avuto una relazione, promossa in cambio del suo silenzio. Lo scandalo arriva proprio nel momento in cui la società tedesca sta effettuando investimenti significativi nel mercato americano, inclusa l'acquisizione quest'estate di Politico per 1 miliardo di dollari. L’approccio del gruppo editoriale tedesco, tuttavia, è stato poco trasparente. Il mondo dell'editoria tedesco è dominato da grandi aziende, in gran parte gestite da uomini, e c’è una forte riluttanza ad accettare critiche ma, essendo stata coinvolta anche un’importante testata internazionale come il New York Times, sono venute alla luce le crepe profonde di un sistema corrotto. Qual è il futuro della libertà di stampa in Germania? Mentre molti cercano di rispondere alla domanda, lo staff di Politico si sta organizzando per formare un sindacato interno.



Crisi del sistema mondiale dell’informazione e colonialismo digitale


Il sistema mondiale dell’informazione non è mai stato così turbolento, pervasivo, opaco e tossico. Mai così capace di influenzare gli orientamenti dei singoli e della collettività. Fino a venti, dieci, cinque anni fa Facebook, YouTube, Twitter, Instagram e gli altri social network neanche esistevano, ma ora ruota tutto intorno a loro. Come riportato da Internazionale, in rete aumenta la velocità di consegna delle notizie ed elementi come il costo medio di produzione e la qualità delle notizie sempre inferiore incentivano le persone a investire sempre più tempo per consumare notizie irrilevanti e di cattiva qualità. Oltre ad avere un bassissimo costo di produzione, le fake news sono molto più redditizie delle notizie e, poiché l’allocazione delle inserzioni è automatizzata, molti grandi brand finanziano inconsapevolmente i siti di fake news attraverso la pubblicità. Si è arrivati al punto che una larga parte dell’investimento pubblicitario ha smesso di sostenere i mezzi d’informazione tradizionali, riducendo drammaticamente le risorse necessarie a fare buona informazione. I giganti del web hanno dato vita ad un nuovo tipo di colonialismo. Infatti, a fronte di guadagni giganteschi, la tassazione nei loro confronti è sempre stata irrisoria. Finalmente, 136 paesi hanno concordato di applicare, a partire dal 2023, un’aliquota del 15% sui profitti là dove i guadagni sono realizzati. Il 4 ottobre 2021 Facebook, Instagram e WhatsApp hanno subito il blackout più lungo di sempre, perdendo 6,11 miliardi di dollari in borsa. Tutto ciò ha messo in evidenza la dipendenza che gran parte del mondo ha nei confronti del social network e la loro posizione dominante, provando quanto siano ormai integrati nella vita.



The Truth of Trump


Dopo essere stato bandito da Facebook e Twitter per l'insurrezione dello scorso 6 gennaio (vedi Editoriale 17), Trump ha adesso deciso di creare la propria azienda mediatica quotata in borsa per potersi reinserire nel dibattito pubblica online. Trump e i suoi investitori hanno detto che la nuova società sarà chiamata Trump Media & Technology Group e che creeranno un nuovo social network chiamato Truth Social, il cui scopo è creare un rivale al consorzio liberale dei media e combattere contro le aziende 'Big Tech' della Silicon Valley. Come riportano il New York Times e il Washington Post, in questa nuova società potrebbe anche riecheggiare una vecchia strategia di Trump per la quale presta il suo nome e la sua reputazione alle imprese di altre persone, producendo entrate per l’ex Presidente con poco lavoro o spese generali. La mancanza di un mezzo di comunicazione adatto alla rapidità e viralità delle teorie e propagande di Trump ha decisamente influenzato la sua popolarità in questi ultimi mesi ma adesso, grazie ad una nuova piattaforma, potrà stabilire le sue regole e raccontare la sua verità. Quali saranno gli effetti dell’utilizzo di questo nuovo social?



Le colpe di Facebook a Capitol Hill


Il New York Times ha recuperato documenti interni di Facebook, alcuni dei quali ottenuti da un ex product manager, che comproverebbero l’inefficacia di quanto fatto per contrastare la disinformazione sfociata nella violenza di Capitol Hill. Il contenuto di questi report viene riassunto dal New York Post. La mattina dell’assalto, i dipendenti di Facebook hanno registrato un picco di reclami riferiti a post che incitavano all’odio, ma la società si è limitata a eliminare i contenuti segnalati in massa – un’azione evidentemente inadeguata a combattere la diffusione delle fake news che hanno marcato “uno dei giorni più bui” dell’azienda. Non a caso, il giorno dopo l’attacco, si è scoperto che i contenuti in violazione delle policy aziendali erano stati pubblicati a un tasso sette volte superiore al normale. Evidenze che stridono con la posizione ufficiale di Facebook in merito all’accaduto: la COO Sheryl Sandberg ha affermato che l’assalto al Campidoglio è stato “in gran parte organizzato su piattaforme che non hanno la stessa nostra capacità di fermare l’odio. Qualche perplessità sul propagarsi delle fake news sulla piattaforma fermentava nella Silicon Valley da circa un anno e mezzo, grazie a un ricercatore di Facebook che ha denunciato la società di stare "consapevolmente esponendo gli utenti a rischi di danni all'integrità". Era giunto a questa conclusione tramite un semplice esperimento: dopo avere aperto un account di prova politicamente schierato a destra, si accorse che in poche settimane il suo feed era diventato "un flusso costante di contenuti fuorvianti, polarizzanti e di bassa qualità" a causa dei contenuti suggeriti dagli algoritmi.



Internet in Russia: minaccia al potere


Sotto il presidente Vladimir Putin, che una volta ha definito internet come un "progetto C.I.A." e vede il web come una minaccia al suo potere, il governo russo sta cercando in tutti i modi di censurare Internet e contrastare i social statunitensi (vedi Editoriale 20). Come riporta un articolo del New York Times, le mosse più audaci sono iniziate nel più banale dei modi, con una serie di e-mail e moduli burocratici. I messaggi, inviati dal potente regolatore di internet della Russia (Roskomnadzor), richiedevano dettagli tecnici - come numeri di traffico, specifiche delle attrezzature e velocità di connessione - dalle aziende che forniscono servizi internet e di telecomunicazione in tutto il paese. Poi sono arrivate le scatole nere. Le compagnie tech non hanno avuto altra scelta che farsi da parte mentre i tecnici approvati dal governo installavano l'attrezzatura accanto ai loro sistemi informatici e server. Il nuovo equipaggiamento si collegava a un centro di comando a Mosca, dando alle autorità nuovi poteri sorprendenti per bloccare, filtrare e rallentare i siti web che non volevano che il pubblico russo vedesse. L 'ingranaggio è stato nascosto nelle stanze delle attrezzature dei più grandi fornitori di servizi internet e di telecomunicazioni della Russia, tra cui Rostelecom, MTS, MegaFon e Vympelcom, ha rivelato quest'anno un alto legislatore russo. Il mondo ha avuto un primo assaggio dei nuovi strumenti della Russia in azione quando Twitter è stato rallentato la scorsa primavera e il sistema di filtraggio era stato messo al lavoro. Altri siti sono bloccati da allora, tra cui diversi legati al leader dell'opposizione incarcerato Alexei A. Navalny. Il processo di censura in Russia, in corso dal 2019, rappresenta l'inizio dello sforzo di censura digitale forse più ambizioso del mondo al di fuori della Cina.



Pressioni, conservatorismo e ostilità nella redazione del Wall Street Journal


A dicembre 2020, un mese prima dell’insurrezione al Campidoglio, la moglie del neoeletto presidente Biden è stata oggetto di un editoriale del Wall Street Journal firmato da Joseph Epstein, nel quale si ironizzava sul fatto che la First Lady continuasse a fare uso del titolo derivante dal suo dottorato in educazione: “forget the small thrill of being Dr. Jill”, veniva suggerito sarcasticamente, per potersi fregiare del “larger thrill” di essere una First Lady. Come evidenziato in un articolo di Columbia Journalism Review, è solo uno dei numerosi editoriali del WSJ criticati dall’opinione pubblica per le posizioni espresse, spesso ritenute offensive al punto da suscitare anche la reazione della redazione interna, con lettere che lamentano la tendenziosità e “the lack of fact-checking and transparency” degli editoriali, sottratti al severo vaglio del team di controllo. "Non siamo il New York Times" è stata la risposta del comitato editoriale, "queste pagine non appassiranno sotto la pressione della cancel-culture". Il rischio, però, è di proteggere la disinformazione con la scusante “ogni opinione è lecita”. La verità è che i pezzi di opinione rimangono i più attrattivi, per un giornale da 3,4 milioni di lettori, per lo più in età avanzata e demograficamente omogenei: il rischio del Journal, ancorandosi alle posizioni politiche dei suoi lettori attuali, è di perdere irrimediabilmente l’elettorato ed influenza. L’articolo di CJR si addentra nella storia della testata americana, fondata nel 1889 e acquistata da Rupert Murdoch nel 2007, il quale promise di mantenere una divisione netta tra sezione fatti e opinioni. La nuova mission: spodestare il New York Times dal suo ruolo di agenda-setter dell’informazione. Soprattutto durante l’ascesa di Trump i giornalisti hanno spesso ricevuto indicazioni e pressioni che hanno minato la trasparenza e correttezza dell’informazione prodotta, a vantaggio dell’aggressività e capziosità delle notizie. Le tensioni interne alla redazione, soprattutto con l’arrivo del caporedattore Matt Murray, si sono così drammaticamente deteriorate in un clima di forte ostilità.

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