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Editoriale 42

La comunicazione sui media
28 - 04 luglio

6 luglio 2021

Stampa e governi: rapporto sempre più fragile. Il monopolio nel mondo digitale. Provaci ancora Trump. L’Ungheria nei giornali europei. Vaccini e bufale, una guerra infinita.

La Redazione


Stampa e governi: rapporto sempre più fragile


Come riporta The Economist, il rapporto tra la stampa e i governi è diventato sempre più problematico (vedi Editoriale 28). Un esempio lo fornisce la Gran Bretagna, dove i legislatori conservatori vogliono mettere la BBC in ginocchio perché, a loro dire, non è imparziale e non rappresenta il paese nel suo insieme. A Hong Kong, poi, Apple Daily è stato costretto a chiudere in base a una nuova legge di sicurezza nazionale che reprime "il tradimento, la secessione e la sedizione". Anche la fiducia del pubblico nella stampa è in declino. Dal 2012 il Reuters Institute for the Study of Journalism, un centro di ricerca dell'Università di Oxford, ha raccolto dati sugli atteggiamenti verso i media e le abitudini di consumo delle notizie. Tra il 2015 e il 2020 il numero di persone che hanno dichiarato di "fidarsi della maggior parte delle notizie per la maggior parte del tempo" è diminuito in diversi paesi, ma durante la pandemia  questa tendenza al ribasso si è fermata. In quasi tutti i paesi esaminati dall'ultimo rapporto dell'istituto, infatti, la fiducia è migliorata dall'inizio del 2020. La ragione non è chiara, anche se gli autori ipotizzano che il coronavirus abbia "mostrato il valore di un'informazione accurata e affidabile in un momento in cui sono in gioco delle vite". L’America, in tutto questo, rimane un’eccezione: la fiducia nel sistema mediatico, difatti, è ancora bassa.



Il monopolio nel mondo digitale


Governi e Big Tech vivono oggi una relazione duale che è contemporaneamente conflittuale e collaborativa: la politica fa dei social uno dei principali strumenti strategici di propaganda ma allo stesso tempo è osteggiata da queste stesse piattaforme che sono luogo di dibattito e creatori di fake news capaci di generare importanti ripercussioni nella società e nella stessa politica. Negli Stati Uniti Joe Biden ha nominato Lina Khan a capo della Federal Trade Commission (FTC), commissione del Congresso a tutela dei consumatori per la prevenzione di pratiche commerciali anticoncorrenziali. Come riportato da The Economist, una commissione del congresso ha approvato 6 disegni di legge per tenere a freno alcune delle più importanti big tech, tra cui Facebook, ma un giudice federale ha ritenuto giusto respingere 2 cause antitrust contro la creatura di Zuckerberg, fornendo una pesante dose di realismo. La FTC accusava Facebook di soffocare la concorrenza bloccando i rivali dalla sua piattaforma. Secondo i precedenti della Corte Suprema, ha sottolineato il giudice, tale condotta però è legale: i monopolisti infatti non hanno il "dovere di trattare". Questo ragionamento può avere senso nel mondo analogico ma è evidente che nel digitale assume un significato e un peso diverso. Qual è il limite del monopolio e della concorrenza nel mondo digitale? Riusciranno i governi a regolamentare i privati delle Big Tech o sfrutteranno l’attuale status a proprio vantaggio?



Provaci ancora Trump


Messo al bando da Facebook, Twitter e gli altri principali social media dopo l’assalto al Congresso, come riporta Primaonline, Trump torna sui social con Gettr, piattaforma del miliardario cinese in esilio Guo Wengui, amico di Steve Bannon. Nato come social per dare voce al dissenso al partito comunista cinese, negli ultimi giorni Gettr è diventando uno spazio per i sostenitori dell’ex presidente e per la diffusione del messaggio del Maga, il movimento del Make America Great Again con cui Trump intende controllare il partito repubblicano. Dopo una comunicazione via video, in cinese, di Guo ai vecchi utenti, è stato Jason Miller, consigliere del tycoon, ad annunciare la nascita di questo nuovo spazio in cui potersi esprimere liberamente, aggirando le regole ed i divieti delle Big Tech. In un’intervista Miller ha dichiarato che Guo “non ha nessun ruolo formale” e non ha “contribuito con finanziamenti” né partecipa alla gestione quotidiana della piattaforma. In realtà, nella pubblicità di Gettr comparsa online figura anche il logo di G-TV Media Group, società di proprietà di Guo e Bannon, e quello di G-TV e GNEWS, siti che sono stati identificati come vettori di disinformazioni sul Covid e propaganda anti-cinese. Il mese scorso Trump aveva tentato, senza successo, di lanciare un suo blog (vedi Editoriale-38), ma l’esperimento è fallito poco dopo; chissà se con Gettr avrà più fortuna.



L’Ungheria nei giornali europei


L’Ungheria sta cercando di ottenere consensi dopo l’approvazione della contestata legge che vieta di parlare di omosessualità in contesti pubblici, se sono presenti minori. Per farlo ha deciso di comprare alcune pagine pubblicitarie sui più importanti giornali europei per spiegare “la proposta dell’Ungheria” e rispondere in questo modo alle critiche mosse dall’Unione Europea. Come riporta Il Post, tra le varie argomentazioni, il governo ungherese spiega che “a Bruxelles vogliono costruire un superstato per il quale nessuno ha dato l’autorizzazione”; che l’integrazione “è un mezzo, non un fine” e che bisogna eliminare dai trattati dell’Unione Europea l’obiettivo di “un’Unione sempre più stretta fra i popoli d’Europa”. A pubblicare la pagina pubblicitaria sono stati molti giornali, tra cui Le Figaro in Francia e ABC in Spagna. Tuttavia, la testata belga De Standaard si è rifiutata e ha invece creato una pubblicità ad hoc per Victor Orbán in cui si legge: “Caro Viktor Orbán, le leggi non dovrebbero mai fare distinzioni tra forme di amore”. E il caporedattore della testata belga ha commentato la sua scelta nell’editoriale: in un Paese in cui sono state varate leggi che limitano la libertà di stampa e l’informazione sull’omosessualità tra i giovani, l’unica strada rimasta a Orbán è quella di comprare pubblicità sulle testate, ma è cinico pensare che i giornali accettino.



Vaccini e bufale, una guerra infinita


Un recente articolo pubblicato da una rivista del gruppo Mdpi (Publisher of Open Access Journals), dal titolo “La sicurezza delle vaccinazioni contro Covid-19 – dobbiamo ripensarne le politiche”, ha riacceso gli entusiasmi no-vax. Alla base, un calcolo abbastanza semplice che si fonda su due numeri: quello degli individui da vaccinare per prevenire una morte da Covid-19, ricavato da uno studio israeliano, e quello delle morti riportate a seguito dei vaccini, ricavato dal sito che raccoglie tutti gli eventi avversi post vaccino in Olanda. Secondo il Foglio, paragonando i due numeri, il dato dei vaccini necessario a prevenire una morte di Covid-19 in Israele è associato a un numero uguale o superiore di morti a seguito della vaccinazione in Olanda. Sembrerebbe, dunque, che la bilancia penda a favore del rifiuto della vaccinazione. Si tratta chiaramente di un caso di pubblicazione spazzatura che non ci si aspetterebbe da una rivista dotata – in teoria – di “peer review”. Proprio per questo, tre editor della stessa si sono dimessi per protesta. Per smontare la tesi basterebbe considerare che si paragonano dati acquisiti in intervalli di tempo, paesi e situazioni epidemiche completamente differenti. L’autore dell’articolo è il prof. Harald Walach, vincitore nel 2012 del premio “lavagna d’oro sulla fronte”, istituito in Austria come riconoscimento per la peggior pseudoscienza dell’anno. Da tempo Walach prova a screditare i vaccini: ha attaccato l’antinfluenzale trovando una falsa correlazione tra questo e le morti per Covid-19, e utilizza argomenti superati per ristabilire il legame tra vaccini ed autismo. Tempi duri per i paesi che, oltre ad impegnarsi nelle campagne vaccinali, devono fronteggiare attacchi no-vax provenienti da tutti i fronti.

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