Editoriale 150
La comunicazione sui media
30 - 05 novembre
7 novembre 2023
Da che parte sta TikTok? Trovare una luce nella nebbia delle notizie. Il rifugio televisivo degli ebrei americani. Il risiko della disinformazione russa in Africa. Chi comprerà il Telegraph? Content news.
La Redazione
Da che parte sta TikTok?
Il conflitto in Medio Oriente ha nuovamente posto TikTok al centro di un acceso dibattito riguardo alla capacità dell'app cinese di influenzare l’opinione pubblica. I critici sostengono che la popolarità dei video a favore della Palestina su TikTok sia un potente strumento di propaganda contro Israele: l'hashtag #standwithpalestine ha accumulato, fino alla scorsa settimana, 2,9 miliardi di visualizzazioni, mentre #standwithisrael ne hanno ottenute soltanto 200 milioni. Ma la realtà è molto più complessa. Gli hashtag su TikTok forniscono solo una visione limitata e imperfetta del discorso pubblico. Molti utenti li utilizzano per esprimere critiche o per attirare l'attenzione su contenuti che non sono direttamente collegati al tema principale. È anche vero, sottolinea il Washington Post, che l’algoritmo di TikTok rende difficile comprendere perché alcuni video diventino virali, sollevando preoccupazioni circa la capacità dell’app di sopprimere le cause politiche non gradite. Numerosi creator, sia a favore di Israele che a favore della Palestina, hanno espresso questa preoccupazione come spiegazione del perché i loro video non ricevano il livello di coinvolgimento online auspicato. Recentemente, un gruppo di creator ebrei ha pubblicato una lettera aperta (“Dear TikTok”) chiedendo all'azienda di rafforzare i propri sistemi di sicurezza e moderazione dei contenuti e sottolineando che i loro post hanno visto un coinvolgimento molto basso, inferiore all'1%. TikTok, analogamente a Facebook e YouTube, vieta la diffusione di video o commenti che promuovono Hamas, in linea con le proprie politiche contro gruppi estremisti. L'azienda sostiene di non influenzare le opinioni degli utenti sulla piattaforma in base agli interessi dei governi, compreso quello cinese.
Trovare una luce nella nebbia delle notizie
Nell’enorme caos di immagini e video che circolano in rete è sempre più difficile che la documentazione di eventi reali da parte dei giornalisti possa emergere ed essere considerata attendibile. È ciò che sta avvenendo anche per il conflitto in Medio Oriente (vedi Editoriale 149), spiega Vanity Fair, in cui molte notizie vere vengono erroneamente ritenute false. Le ragioni di questo scetticismo sono molteplici: innanzitutto numerose riviste di reportage sono scomparse e questo ha determinato la mancanza di approfondimenti mirati; in secondo luogo, molte forze politiche utilizzano i media per veicolare immagini false o fuorvianti; infine, l’impressionante sviluppo dell’intelligenza artificiale non ha fatto altro che alimentare dubbi sulla veridicità delle informazioni. La BBC ha recentemente raccontato la storia di due bambini di quattro anni, Omer e Omar, uno israeliano e l'altro palestinese, e di come siano stati uccisi nei primi giorni di guerra: la loro morte, anziché smuovere l’opinione pubblica, è diventata oggetto di una battaglia sui social media. Talvolta questo clima informativo caotico è determinato da una mancanza di conoscenza del contesto: i fotoreporter, privati delle risorse finanziarie adeguate, spesso non hanno la possibilità di esplorare il background dei fatti. Inoltre, secondo il Committee to Protect Journalists, sono stati uccisi almeno 31 giornalisti e operatori dall'inizio della guerra tra Hamas e Israele. La copertura del conflitto è perciò giudicata incompleta e di parte dagli addetti ai lavori, nonché criticata dagli esterni in quanto non sufficientemente favorevole ai loro punti di vista. A causa di questi diversi fattori, le persone reagiscono con indifferenza e immagini che in passato avrebbero potuto cambiare le sorti di una guerra ora finiscono nel dimenticatoio o, peggio, vengono messe in discussione. Un’altra ragione degna di riflessione è l’assenza di un racconto ricco di sfumature e complessità che possa spiegare la vita delle persone coinvolte nel conflitto: fino a che non scoppiano guerre nessuno sa cosa accade dall’altra parte del mondo. Tuttavia, ci sono organizzazioni che stanno cercando di ricostruire la fiducia nei confronti del fotogiornalismo individuando e segnalando foto e video deep fake: Writing With Light, nata da rappresentanti di World Press Photo, Magnum Photos e National Press Photographers Association, è una delle realtà più recenti.
Il rifugio televisivo degli ebrei americani
Fox News è recentemente diventata un rifugio per gli ebrei americani che credono che i media mainstream siano stati troppo ostili a Israele. Secondo il New York Times, si tratta di un'alleanza alquanto improbabile. Gli ebrei si identificano in grande maggioranza come democratici e, quando il Partito Repubblicano ha abbracciato una politica più populista che diffama gli interessi aziendali “globalisti” e i ricchi uomini d’affari liberali come Soros, i conduttori e gli ospiti di Fox News hanno promosso quelle opinioni. Ma più di ogni altro importante canale di notizie, Fox News si è avvolto nella bandiera israeliana successivamente all’attacco di Hamas. La sua copertura tende a enfatizzare gli elementi radicali e antisemiti dell’opposizione filo-palestinese, minimizzando al contempo le vittime civili degli attacchi israeliani. E così, anche un ingegnere informatico e neolaureato alla New York University che fino a poco tempo fa leggeva regolarmente il New York Times e il Wall Street Journal, ha iniziato a guardare il canale di notizie di Murdoch. Non sono disponibili dati precisi sull'appartenenza religiosa del pubblico di Fox dal 7 ottobre, ma nelle principali aree metropolitane con una grande popolazione ebraica – tra cui New York, Miami e Los Angeles – il numero dei suoi spettatori sembra supera quello dei competitor. Da settembre l'audience di Fox News è cresciuta in percentuale maggiore rispetto a quella di CNN e MSNBC a Los Angeles, Filadelfia, Washington e Miami. E a New YorkFox ha recentemente battuto di pochi punti MSNBC, scalando quel 16% di spettatori in meno rispetto al suo rivale di sinistra. Giovedì la rete televisiva ha trasmesso “Fox & Friends” in diretta dal Second Avenue Deli, nell'Upper East Side di Manhattan, un'istituzione culinaria ebraica di New York. Quando ha accusato i media di non aver fatto un lavoro adeguato nel raccontare la situazione di Israele, il co-conduttore Lawrence Jones è stato acclamato dai presenti, mostrando quanto il conflitto in Medio Oriente stia influenzando anche il panorama dell’informazione americano.
Il risiko della disinformazione russa in Africa
Da anni si studiano e raccontano le numerose campagne di disinformazione portate avanti dal governo russo a livello internazionale e, dopo i numerosi scandali sul suo coinvolgimento anche nelle elezioni americane (vedi Editoriale 118), un recente articolo del Washington Post racconta una storia in anteprima che rivela la propaganda perpetuata dalla Russia in Africa ed in particolare nella regione francofona del Sahel, capace di generare colpi di stato e rivoluzioni politiche come accaduto negli ultimi anni. “La Russia ha condotto con successo una campagna di disinformazione che è stata cruciale per lo sgombero delle forze francesi e delle forze di pace dell'ONU in Mali e per la creazione di una nuova alleanza del Sahel. Stanno per fare lo stesso in Niger”, ha dichiarato Ulf Laessing, responsabile del Programma Sahel presso la Fondazione Konrad Adenauer, un think tank politico tedesco di centro-destra. Meta, la società che gestisce Facebook, Instagram e WhatsApp, afferma di aver individuato, dal 2017, più di 200 operazioni illecite di propaganda ed influenza in 68 Paesi, dimostrazione che la Russia ha passato anni a gettare le basi anni per influenzare e conquistare politicamente alcune regioni trascurate dall'Occidente. Anche le attuali guerre in Ucraina e in Medio Oriente hanno creato nuove opportunità per campagne mirate, così come anche le nuove tecnologie. Alla luce di ciò, sembra che i governi occidentali non abbiamo ancora compreso l’efficacia della strategia online della Russia all’estero e l’impatto che di questa nell’ordine geopolitico.
Chi comprerà il Telegraph?
Il Telegraph, lo storico quotidiano britannico conservatore attualmente di proprietà della famiglia Barclay, è in vendita. L'asta per la vendita è gestita da Goldman Sachs e ci sono diversi magnati dei media interessati all’acquisto, tra cui Rupert Murdoch e Sir Paul Marshall di GB News. Ma perché tanto clamore per questo quotidiano? Come riporta Vanity Fair, i potenziali acquirenti vedono nel Telegraph l'opportunità di trasformarlo in un prodotto digitale di successo, capitalizzando sul suo prestigio e sulla sua storia. Il Telegraph, noto per il suo conservatorismo, ha svolto un ruolo significativo nella politica britannica. La sua influenza nella politica conservatrice e il suo status di giornale di élite lo rendono attraente per coloro che desiderano avere un impatto sulla politica di destra nel Regno Unito. Il successo di marchi storici come il Financial Times, il New York Times e il Washington Post nel passare al digitale ha spinto gli acquirenti a considerare il Telegraph come un'opportunità simile. Tuttavia, la transizione verso il digitale e l'espansione negli Stati Uniti presentano sfide, considerando la competizione e la polarizzazione del mercato. Il consiglio di amministrazione del Telegraph terrà conto di ostacoli normativi, reputazione degli acquirenti e prezzo nella scelta del nuovo proprietario. L'asta è in corso, e i potenziali acquirenti stanno valutando strategie per rivitalizzare il giornale e renderlo rilevante nell'era digitale
Content news
La laurea in giornalismo e il primo impiego non in redazione, ma come content creator. Il Washington Post analizza un cambiamento che sta attraversando il mondo dell’informazione, dove queste figure professionali trovano sempre più spazio. Un’evoluzione assolutamente disruptive per il mestiere del reporter, con le proprie luci e ombre. Se, infatti, da un lato questa moltitudine di nuove voci arricchisce l’ecosistema dei media con narrative diverse da quelle consolidate, è più accessibile e si esprime su un medium, internet, in grado di dare vita a nuovi cicli e di farlo molto velocemente, dall’altro aspetti come il mancato rispetto delle linee guida etiche rispettate dai giornalisti, la tendenza a focalizzarsi su argomenti polarizzanti e la viralità delle fake news che possono essere veicolate sono motivo di scetticismo. Senza contare, poi, la difficile relazione con le piattaforme stesse che ospitano i content creator, e il fatto che la fonte primaria di queste figure resti – paradossale – il lavoro dei giornalisti tradizionali. D’altra parte, è innegabile che questo nuovo modo di fare informazione sia più godibile dalle persone giovani, che usano molto più i social media della TV, e che cercano un giornalismo più in sintonia con il proprio sentire. I creator, infatti, spesso rifiutano la neutralità dei loro colleghi più tradizionalisti e, al contrario, prendono una posizione, ponendo domande che il loro pubblico ritiene non siano spesso formulate dai giornalisti tradizionali.